Posted by Mara
Arbutus unedo ( corbezzolo)
L’ Arbutus unedo è un albero originario della zona mediterranea occidentale dove cresce
spontaneamente, appartiene alla famiglia
delle Ericaceae, la stessa famiglia
dell’erica e dei mirtilli.
È una pianta che varia nelle dimensioni, va da piccolo arbusto ad albero
alto fino a 10 metri. L’Arbutus unendo presenta
un bel fogliame sempreverde e la corteccia rossastra che si sfalda in sottili placche allungate che costituiscono un elemento ornamentale in tutte le stagioni, in più si
presenta particolarmente colorato, grazie alla sua capacità di contenere
foglie, fiori e frutti contemporaneamente.
Le foglie, sparse sui
rametti, sono ovali-oblunghe e acuminate in entrambe le estremità, il margine è
seghettato, la consistenza coriacea con nervature prominenti nella parte
inferiore. I fiori, appaiono in autunno-inverno e fruttificano l'autunno
seguente. Sono molto piccoli e uniti tra loro in brevi grappoli penduli. Ogni
fiore è formato da un piccolissimo calice e da una corolla bianca o rossa
rigonfia come un otre, terminata alla fauce da cinque piccoli denti volti verso
l’esterno. Le infiorescenze sono bisessuate, cioè al loro interno presentano
sia gli organi maschili che quelli femminili. I profumatissimi fiori in
autunno attirano api e farfalle; le farfalle amano deporre le uova sulle foglie
mentre sono parecchi gli uccelli che durante il periodo autunnale si nutrono
dei frutti dell’Arbutus.
Il frutto dell’Arbutus unendo è una bacca carnosa più o meno
tondeggiante con la superficie tubercolata, raggiunge dimensioni simili a
quelle di una ciliegia. Si presentano rossi esternamente, mentre internamente
hanno una polpa scura, soda dolce. La colorazione di queste bacche è prima verde,
poi gialla e infine arancione, rossa. I frutti che si formano l’anno
precedente, maturano durante lo sviluppo dei fiori dell’anno successivo
regalando diversi effetti cromatici. I frutti (corbezzoli) sono
maturi quando si staccano spontaneamente dalla pianta e cadono a terra.
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Il suo nome "Arbutus unedo" sembra provenire quasi certamente
dal celtico. Infatti "ar" in celtico vuol dire "acerbo,
astringente" mentre "unedo" è il nome che veniva usato
nell’antichità e che sembra derivare dal latino "unu tantum edo"
"ne mangio uno soltanto" per precisare di non esagerare con i suoi
frutti che in quantità eccessiva davano senso di nausea e stitichezza, mentre l’origine
della parola corbezzolo è incerta; alcuni studiosi la fanno risalire
alla parola germanica” kirsch – bùschel” che significa “grappolo di ciliege”. Greci
e romani pensavano che la pianta di Arbutus unendo fosse nociva in quanto, se
mangiate, le sue bacche provocavano mal di testa e di stomaco all'individuo. In
passato era chiamato ciliegio marino, e considerato pianta magica, proprio
perché un consumo copioso porta ad uno stato di vertigine simile all’ebbrezza. Gli
studiosi delle credenze magiche e degli antichi culti riferiscono di una festa
religiosa legata al consumo delle bacche di Arbutus unendo (corbezzoli), che si
teneva il 23 di ottobre, giorno di san Simeone e Giuda. Questa festa del
corbezzolo era secoli fa una di quei riti che collegavano la magia e la
religione con il divertimento, una celebrazione gioiosa
attorno al frutto che aveva un potere inebriante simile ai grappoli d’uva. I partecipanti si davano appuntamento tra i
sentieri dei boschi, raccoglievano i corbezzoli e poi si intrattenevano fino a
tarda sera a festeggiare allegramente. Invece durante il solstizio d’estate, il 23 giugno, l’Arbutus unedo era
una delle piante di san Giovanni, in grado di proteggere i bambini dalle
streghe. Virgilio, nell’Eneide,
racconta che i parenti dei defunti usavano porre dei rami di Arbutus unendo
sulle tombe come simbolo ed auspicio di immortalità. Durante il risorgimento
L’Arbutus unendo venne chiamato anche pianta di Garibaldi per i suoi colori, il
verde delle foglie, il bianco dei fiori e il rosso dei frutti che in autunno
compaiono contemporaneamente e ricordano la bandiera italiana. Per le sue speciali
caratteristiche Giovanni Pascoli gli dedicò un’ode. In Inghilterra L ’Arbutus è
nominato strawberry tree perché ricorda un albero carico di
fragole. Lo stemma della città di Madrid è un orso che si nutre da una pianta
di Arbutus.
L’Arbutus unendo è ricco
di proprietà terapeutiche: è astringente ed antidiarroico, antinfiammatorio
delle vie biliari, del fegato e di tutto l’apparato circolatorio e delle vie
urinarie, antispasmodico dell’apparato digerente, diuretico, antisettico. Queste
proprietà sono racchiuse nelle foglie ricche di tannini. I frutti invece sono
molto ricchi di zuccheri e vitamina C ma vanno mangiati in piccola quantità
perché possono dare disturbi e soprattutto evitati in caso di diabete. Le
foglie si raccolgono in maggio-agosto staccandole a una a una insieme al
picciolo. Non vanno raccolte quelle dell’anno precedente che sono più indietro
nei rami e hanno un colore più scuro e il margine spesso brunito. Le foglie da
raccogliere sono quelle verde intenso. Si essiccano poi all’ombra in strati
sottili muovendole spesso, si conservano poi in sacchetti di carta. L’infuso di
Arbutus può portare notevoli benefici in caso di cistiti e infiammazioni alla
vescica. In Marocco le foglie vengono tradizionalmente usate per preparare una
tisana che, grazie ai suoi benefici sul sistema circolatorio, cala la pressione
sanguigna. Il decotto della radice può essere usato nell’arteriosclerosi,
mentre il decotto delle foglie come tonico astringente sulla pelle. Il miele di
corbezzolo(Arbutus) ha proprietà antisettiche, astringenti, anti asmatiche,
viene indicato per alleviare il mal di gola. È un miele dal colore scuro con
sapore amaro e a volte pungente; è molto ricercato perché è l’ultima produzione
delle api prima del periodo invernale.
I frutti vengono raccolti maturi fra novembre e dicembre. Si conservano
male, sono morbidi e delicati perciò fermentano facilmente. Meglio impiegarli
in cucina per preparare inconsuete marmellate distillati, vini, sciroppi,
succhi, salse, o un gustoso aceto da utilizzare per condire insalate oppure per
fare un insolito regalo. Per fare l’aceto bastano una manciata di frutti poco
maturi e 6 foglie di alloro. Mettere entrambi in una bottiglia con un litro di
aceto e lasciar riposare in un luogo fresco, asciutto e al buio per tre
settimane circa. I frutti matureranno prendendo il colore rosso dentro la
bottiglia. I liquori si preparano invece facendo macerare i frutti maturi
nell’alcool puro. Nel sud del Portogallo si produce una
bevanda alcolica chiamata Aguardente de Medronho. L’intera pianta è usata anche
in altri modi, ad esempi dalla corteccia si estraggono tannini che vengono
utilizzati per produrre coloranti o per la concia delle pelli. Il legno spesso
viene usato per le sue proprietà aromatiche per la cottura di carne e pesce o
per affumicare (assieme ad altri legni) le forme di formaggio. I vecchi
contadini con la radice di Arbutus, usata insieme ad altri legni, si auto
costruivano le pipe. Trova impiego anche nei rimboschimenti, poiché è una
pianta con una grande resistenza al fuoco, dopo il suo passaggio riesce ad
emettere velocemente dei polloni vitali che favoriscono la sua crescita.
Colore, sapore, gioia
d’autunno
Piccoli fiori bianchi,
Allegra cascata ricca di
sfumature.
Metamorfosi
I fiori nuovi sorridono
ai frutti
Appariscenti bacche
scarlatte che brillano
Incastonate nella verde
chioma.
E dal profondo del cuore
Evocano ricordi lontani…
Il tricolore…
Il profumo dell’amore.
By Mara
Ricordiamo che:
Prima
di intraprendere una cura a base di piante medicinali si deve sempre
interpellare un medico specialista in materia e seguire le sue indicazioni
Tutte le piante officinali
vanno usate con estrema competenza ed esperienza, con estrema cautela.
La raccolta delle erbe
salutari è un’arte abbastanza difficile: è necessario saperle riconoscere e
rispettare l’epoca in cui i principi attivi è più elevata. Èindispensabile
scegliere bene i luoghi di raccolta, per evitare piante inquinate o avvelenate
da scarichi o smog. È obbligatorio conoscere le regole di conservazione,
essicazione, preparazione e assunzione.
Numerose piante possono
risultare tossiche, se non addirittura velenose, se usate in maniera non
appropriata, o sono controindicate a determinati soggetti o situazioni
L’autoterapia può
essere pericolosa, consultare sempre un medico
Il nostro scopo è quello di
fornire una base al passeggiatore curioso. Alla persona che vuole sapere quali
sono le piante che incontra e sapere che molte hanno proprietà salutistiche.
Per trovare la voglia di tornare alla natura e guardare con nuovi occhi quello
che ci circonda cogliendone la magnificenza. Un passaggio che ci porta dentro
la natura e dentro noi stessi.
Posted by Mara
Armoracia Rusticana
(Rafano-Cren o Barbaforte)
L’Armoracia rusticana, più conosciuta come
Rafano, Barbaforte o Cren, appartiene alla famiglia delle Crucifere ed è
probabilmente originaria dell’Europa orientale e dell’Asia. Il nome Armoracia
deriva da Armorica, una località della Bretagna dove la pianta veniva
coltivata. È una pianta erbacea con una grossa radice carnosa che cresce
ovunque anche nelle zone montane, con una predilezione per le scarpate, i
terreni sassosi e poco fertili, gli orti, lungo corsi d’acqua, spesso all’ombra
delle vecchie case rurali. Il fusto alto fino a 80-100 centimetri è semplice in
basso e ramificato solo in alto. Le foglie basali sono verdi, grandi, ovate,
dentate, lunghe fino ad 80 centimetri di cui 30 sono di picciolo. Le foglie del
fusto variano, quelle inferiori pennatifide, quelle superiori intere o appena
dentate, ellittiche o lanceolate-lineari.
I fiori sono riuniti in pannocchie apicali,
formati da quattro sepali verdastri di forma lanceolata e quattro petali
bianchi ovali con l’apice arrotondato. Durante la fruttificazione si allungano
fino a formare un baccello contenente dei semi ovali e schiacciati. Tuttavia
difficilmente si propaga per seme vista la sua predisposizione alla sterilità,
ma si diffonde in modo quasi infestante attraverso i suoi rizomi. Durante la
stagione fredda, all’Armoracia Rusticana si seccano le foglie, ma i rizomi
sotto il terreno rimangono vigorosi ed energici, pronti a riprendere la loro
vita vegetativa non appena la temperatura lo permette.
Quella che comunemente viene chiamata radice, è
in realtà l'ipocotile, cioè la parte del fusto compresa fra le foglie e il
colletto della radice propriamente detta. È molto carnosa, può misurare fino a
50 centimetri con un diametro che va dai 2 ai 7 centimetri. Esternamente appare
rugosa, increspata e brunastra, internamente soda e di colore bianco-crema con
un caratteristico odore aromatico penetrante. Se viene schiacciata, tagliata o
grattugiata libera un'essenza piccantissima che può provocare irritazione alle
mucose e una forte lacrimazione. Per questo motivo quando si manipola la radice
di Armoracia bisogna usare le dovute cautele. La radice è la parte della pianta
che viene raccolta in agosto-ottobre, quando la pianta entra in riposo, ma solo
da piante che hanno compiuto almeno due anni. Si può mantenere fresca
mettendola sotto un sottile strato di sabbia, o tenendola in una cantina molto
fresca, oppure si fa essiccare al sole rimuovendola spesso dopo averla ben
lavata e si conserva in recipienti di vetro, o dopo essere stata
grattugiata, può essere riposta nel congelatore, tuttavia è preferibile usare
la radice fresca. È importante ricordarsi, quando si estirpa la radice, di
lasciare sul posto i rizomi più sottili dai quali si riformeranno in seguito
nuovi cespi.
Alcune fonti storiche affermano che l’Armoracia
fosse coltivata dai Greci già nel 1000 a.C. e che in Inghilterra fosse
coltivata prima dell’arrivo dei Romani. Stando alle tradizioni popolari, testimoniate
da filosofi greci come Demostene (quarto secolo prima di Cristo) sarebbe anche
un energico afrodisiaco, citano i testi storici, che mangiandola, “stimola gli
appetiti venerei”. Durante il Medioevo l’Armoracia veniva utilizzata come
alimento per contrastare il rachitismo. La troviamo nell’Esodo, Antico Testamento,
presente nelle cene rituali pasquali come erba emblematica della durezza della
schiavitù in Egitto. Era molto conosciuta in Europa Centrale ed in
Germania, ma col tempo ha raggiunto anche la Scandinavia e l'Inghilterra. Nonostante
ciò veniva usata solo per le sue particolarità
curative e solo dalla fine del XVI secolo comincia a essere introdotta anche in
cucina. Le radici del Armoracia sono un concentrato di importanti sostanze minerali, calcio, fosforo,
ferro e magnesio; sono ricche di vitamine (C, B1, B2 e B6). Proprio per queste
sostanze veniva chiamata “penicillina del giardino”. All’ Armoracia vengono attribuite diverse facoltà terapeutiche, grazie ai
sali minerali e alla grande quantità di vitamina C veniva impiegata anche nella
cura dello scorbuto, una malattia dovuta
alla carenza o a un assorbimento insufficiente di questa vitamina. Ha proprietà rubefacenti, antinfiammatorie (soprattutto nei
confronti delle vie urinarie e respiratorie) risolventi, digestive (porta
benefici sia in caso di inappetenza che in problemi di digestione). Nei cambi
di stagione le radici dell’Armoracia sono un alleato per depurare il fegato,
per eliminare disturbi biliari e per assorbire sali minerali e vitamine. Migliorano la circolazione sanguigna e
accorciano i tempi di recupero delle forze in caso di stanchezza. L’ Armoracia contiene oli di senape che
combatte la proliferazione di virus e di batteri ed è efficace nell’affrontare
il raffreddore accompagnato da catarri bronchiali e le sindromi influenzali. Il
suo uso interno sia alimentare che erboristico va fatto con moderazione, poiché
ad alte dosi, può dare disturbi di stomaco e di intestino che annullerebbero i
benefici derivati da un uso appropriato. È comunque sconsigliato a chi soffre
di affezioni renali, irritazioni allo stomaco, alle donne in gravidanza e ai
soggetti nervosi. L’ Armoracia, usata esternamente ha la proprietà di stimolare
l’afflusso di sangue nelle zone trattate ed è utile nei dolori reumatici, nella
sciatica e nelle contusioni. In questo caso la radice va tritata e mescolata
con la grappa, inserita in una garza e applicata sulla parte dolorante per
qualche minuto. Le radici essiccate e triturate e mescolate con un po’ d’acqua
tiepida formano una pasta, che sembra essere un antico rimedio contro il
fastidio provocato dalle punture d’insetti. Il succo della radice, mescolato
con dell’aceto di vino bianco, schiarisce le lentiggini. Anche nell’uso esterno
è meglio sempre verificare la sensibilità della pelle perché su pelli sensibili
può provocare irritazioni. Le foglie tagliate minutamente mischiate al cibo dei
cani hanno azione vermifuga e ricostituente, però non solo gli animali ma anche
le piante sembrano beneficiare dell’uso dell’Armoracia, infatti per allontanare
in modo naturale i parassiti dai meli, questi andrebbero irrorati con l’infuso
di radici di Armoracia diluito con tre parti d’acqua.
In cucina le radici di Armoracia sono
particolarmente apprezzate dai buongustai per il sapore dolce- piccante, quasi
acre, che ricorda quello della senape. Prima dell’arrivo delle spezie esotiche, come lo
zenzero e il pepe, l’Armoracia e la senape furono per secoli gli unici
condimenti piccanti. Fortemente aromatica e balsamica, si avverte decisamente
nelle vie respiratorie. Le sue foglie quando sono ancora molto tenere, quindi
in primavera, possono essere unite alle insalate o per aromatizzare minestre,
il contenuto di vitamina C nelle foglie giovani è il doppio di quello che ne
contiene un’arancia dello stesso peso. L’interesse principale è comunque
rivolto alla radice, in Lombardia, Veneto e Piemonte è molto conosciuta
soprattutto sotto forma di “salsa di cren”, della quale ne esistono molte
varianti. Si accompagna a carni arrostite, lesse o affumicate. In Basilicata nel periodo di carnevale si
prepara la “rafanata materana” una frittata alta circa 10 centimetri dove alle
uova sbattute si aggiunge il rafano (Armoracia) fresca grattugiata, pecorino,
prezzemolo e pepe nero. A Potenza l’Armoracia viene grattugiata fresca sul
piatto di ragù e viene scherzosamente definita” il tartufo dei poveri”. Nel Nord Europa, la sua polvere viene usata
per sostituire la Senape.
Una versione semplice di gustare
l’Armoracia dopo averla grattugiata è quella di conservare la radice sott’olio
per poi assaporarla su fette di pane tostato.
Un’altra golosità è il dolce di mele e rafano (Armoracia),
per farlo servono:
Per la base: g 250 farina kamut, g 80 sciroppo
d’agave, g 80 olio, g 40 acqua calda, 1 cucchiaino di lievito, la buccia
grattugiata di un limone.
Per il ripieno: 2 mele grosse tagliate a
fettine sottili immerse nel succo di 1 limone, 6 cucchiai di sciroppo d’agave,
3 cucchiai di farina di ceci, 3 cucchiai di farina di Kamut, 1 bicchieri di
latte vegetale, 2-3 centimetri di radice di Armoracia grattugiata (se si vuole
sentire il gusto pungente si possono aumentare le quantità), un pizzico di
cannella.
Impastare tutti gli
ingredienti per la base formare un palla che poi stenderete in una teglia per
crostate lasciandola sbordare. Formare una crema con l’agave, le due farine, il
latte, lo zenzero grattugiato e la cannella.
Adagiare
le fettine di mele sopra la base della crostata, versare sopra la crema fatta
precedentemente e richiudere i bordi sopra il tutto.
Infornare
a 180° per 35-40 minuti, gli ultimi 10 minuti con il grill acceso. Questa è una
versione vegana ma farine, dolcificanti e latte possono essere tranquillamente
sostituiti con quelli tradizionali, come la farina di ceci con tre uova.
Un rimedio per la tosse e il mal di gola facile
da preparare in casa è lo sciroppo al rafano (Armoracia). Basta grattugiare due
o tre radici e ricoprirle con del miele a scelta, ma se è di eucalipto meglio
ancora, lasciare il tutto in infusione per 12 ore.
Trascorso questo tempo filtrare con un colino a
maglie strette, otterremo uno sciroppo molto aromatico e pungente. In caso di
tosse e gola infiammata prenderne 1 cucchiaino tre volte al giorno lontano dai
pasti, si si conserva in frigo o in un luogo fresco.
Radice umile, abbandonata,
Profuma di tradizioni,
Di vecchie cucine,
Di Medicina dei tempi passati.
Rievoca vecchie cascine,
Il calore delle famiglie numerose
Sapore intenso
che
avvolge la mente nei ricordi
e scalda il cuore nei freddi inverni
Rustica, piccante, graffiante radice
Intensa esplosione che si diffonde in tutto il
corpo
Portando con se tutta la sua forza rigenerante.
Ricordiamo che:
Prima di intraprendere una cura a base di piante medicinali si deve sempre interpellare un medico specialista in materia e seguire le sue indicazioni
Tutte le piante officinali vanno usate con estrema competenza ed esperienza, con estrema cautela.
La raccolta delle erbe salutari è un’arte abbastanza difficile: è necessario saperle riconoscere e rispettare l’epoca in cui i principi attivi è più elevata. Èindispensabile scegliere bene i luoghi di raccolta, per evitare piante inquinate o avvelenate da scarichi o smog. È obbligatorio conoscere le regole di conservazione, essicazione, preparazione e assunzione.
Numerose piante possono risultare tossiche, se non addirittura velenose, se usate in maniera non appropriata, o sono controindicate a determinati soggetti o situazioni
L’autoterapia può essere pericolosa, consultare sempre un medico
Il nostro scopo è quello di fornire una base al passeggiatore curioso. Alla persona che vuole sapere quali sono le piante che incontra e sapere che molte hanno proprietà salutistiche. Per trovare la voglia di tornare alla natura e guardare con nuovi occhi quello che ci circonda cogliendone la magnificenza. Un passaggio che ci porta dentro la natura e dentro noi stessi.
by Mara
Ziziphus jujuba Miller (
Giuggiolo comune)
Il Giuggiolo e un grazioso
alberello della famiglia delle Rhamnaceae. Esistono pareri diversi circa la sua
origine, ma tutti i biologi concordano sul fatto che sia coltivato ormai da
oltre 4000 anni. Sembra sia arrivato nel bacino del Mediterraneo dalla Cina
circa 2000 anni a.C. Fu portato a Roma da l’imperatore Augusto (63 a.C.) che lo
introdusse poi in tutta Italia e nel Sud della Francia. Vive selvatico nei
coltivi abbandonati e nei vecchi giardini, oltre a essere coltivato. Il
giuggiolo è una di quelle piante ormai esiliate nell'elenco dei frutti antichi,
sempre meno diffusa in coltivazione, sempre meno gradita come pianta da frutto,
qualcuno suppone che la sua scarsa frequenza nei giardini, nonostante sia una
pianta molto bella, sia dovuta alla lentezza della sua crescita.
Al genere Ziziphus appartengono circa duecento
specie, si tratta di arbusti o piccoli alberi, che in genere raggiungono i 4-5
metri di altezza, a crescita lenta. La corteccia è rugosa, grigio-bruna, poco fessurata.
Il legno all’interno delle fessurazioni assume colorazioni dal rosa al
rossastro.
I rami biancastri, hanno
uno sviluppo serpentino e ritorto, spesso ricadente, e presentano numerose
grandi spine molto appuntite, queste sono disposte a due a due in
corrispondenza dell’ascella fogliare: una è molto dritta, affilata ed orientata
verso l’alto, l’altra ha forma di uncino, va verso il basso ed è più corta. Il
fogliame è deciduo, costituito da foglie pennate, composte da piccole
foglioline ovali, di colore verde brillante, lucide e leggermente consistenti.
In primavera inoltrata o ad inizio estate produce una miriade di piccoli fiori
di colore bianco- giallastri con la corolla quasi invisibile e di scarso valore
decorativo; a cui seguono i frutti, simili ad olive, commestibili. Il frutto
varia molto a seconda delle specie: rotonda, allungata o anche periforme. A
maturità il suo colore varia dal marrone al violaceo. Contiene un nocciolo
avvolto nella polpa biancastra che può risultare più o meno farinosa. Il suo
sapore ricorda quello delle mele acerbe.
Il nome Zizyphus deriva dal greco “Zizyphon” e dall’arabo “Zizifous” con cui è conosciuto il Giuggiolo di Barberia. Il nome italiano ha, chissà perché, dato origine a modi di dire e a proverbi che hanno fatto pensare ad una pianta più vicina al contadino che al signore; si usa dire “Giuggiolone” ad un ragazzone ben messo ma ingenuo e sciocco, o ad una persona di intelligenza limitata e che conclude poco. “Giuggiolino” invece ad un bambino grassottello e simpatico dal colorito tra il giallo e il rosso. «Quando il giuggiolo si veste, e tu ti spoglia, quando si spoglia, e tu ti vesti “perché questa pianta è una delle ultime a rivestirsi del suo fogliame a primavera, e l’ultima a spogliarsene all’arrivo del freddo. «È un lavoro lungo, altro che giuggiole!» e «un’eredità di cento milioni? Una giuggiola!». Le giuggiole per tradizione vanno raccolte in settembre, esattamente il 29: «per San Michele la giuggiola nel paniere». Poi c’è il famoso “andare in brodo di giuggiole” che significa godere di un piacere delizioso come assaggiare una dolcissima giuggiola, ma la dicitura proverbiale arriva dal Rinascimento, quando il Giuggiolo e i suoi frutti conobbero un momento di nobiltà. Nei pressi del lago di Garda, la famiglia Gonzaga aveva la residenza estiva, qui veniva prodotto e offerto un delizioso estratto a base di giuggiole il poi famoso “brodo di giuggiole” ideale per accompagnare dolci o biscotti o per essere sorseggiato.
I liquori a base di giuggiole erano conosciuti
presso molte civiltà del bacino del Mediterraneo. I preparati più antichi di
cui si ha conoscenza furono fatti da Egizi e Fenici. Erodoto paragonò la dolcezza della giuggiola
a quella del dattero, evidenziando come dalla polpa fermentata della giuggiola
si ottenesse un liquido molto inebriante. Omero nel Odissea parla del paese dei mangiatori di giuggiole e come questo
frutto, avesse il potere di rendere felici facendo dimenticare l’amore per la
propria patria ai marinai che accompagnavano Ulisse. Presso i romani il giuggiolo diventò il simbolo del silenzio, e fu usato
per ornare i templi della dea Prudenza; ciò non impedì di farne anche un uso
profano, e in particolare di ottenerne preparati liquidi fermentati. Pare che
con i rami del giuggiolo sia stata intrecciata dai soldati romani la corona di
spine di Cristo.
Secondo il Corano, nel paradiso cresce un
giuggiolo portentoso, con tante foglie quanti sono gli uomini della terra: ne
spunta una, tenera, ad ogni nascita, ne cade una, ingiallita, ad ogni partenza
dal mondo;
Nelle terre d’Oriente il giuggiolo è la
rappresentazione dell’immortalità e di trascendenza della materia, mentre il
suo fiore è il simbolo del sollievo. Nell’ Africa del Nord il frutto
veniva seccato e polverizzato per impastare focacce. In Romagna in molte case
coloniche il giuggiolo era coltivato adiacente la casa nella zona più riparata
ed esposta al sole, si riteneva fosse una pianta portafortuna.
Ai giorni nostri il
Giuggiolo è molto conosciuto nel Veneto dove in un paese
dei Colli Euganei, Arquà Petrarca, si festeggia la “Festa delle Giuggiole “. Le prime due domeniche di ottobre nel paesino trecentesco
le stradine si riempiono di banchetti dove predomina questo frutto.
Il Giuggiolo è
molto bello sia come albero da frutto che
come pianta ornamentale, essendo in grado di regalare un piacevole
spettacolo per la vista nel corso della stagione
autunnale.
Del
Giuggiolo si usano i frutti che oltre ad essere molto stuzzicanti per il palato
hanno anche ottime proprietà medicinali. Si raccolgono a completa maturazione
in settembre-ottobre. Solitamente si usano freschi, ma volendoli conservare si
possono essiccare conservandoli poi in recipienti di vetro. La giuggiola
contiene saponine triterpeniche, piccole quantità di alcaloidi, mucillagini,
zuccheri, acido tartarico e soprattutto vitamina C. 10 giuggiole equivalgono a
2 arance. Ha proprietà: tossifughe, diuretiche, antiinfiammatorie, emollienti,
epatoprotettive, ipocolesterolemiche, antipiretiche. In Cina è considerata la
pianta calmante più conosciuta e utilizzata dalla medicina popolare che la
definisce come uno dei principali tonici cerebrali tradizionali, poiché le
vengono attribuite proprietà toniche, digestive, miorilassanti, e
riequilibranti della mente. Studi scientifici effettuati negli anni 80-90 ne
hanno confermato queste proprietà sia utilizzato da solo, sia in associazione
con altre piante. Sono state messe in evidenza anche proprietà antiossidanti,
antiaritmiche e protettive cardiovascolari; un’assunzione prolungata riduce il
colesterolo LDL
e i trigliceridi, migliorando la funzione cardiocircolatoria.
Il frutto essiccato o l'estratto di giuggiolo
viene usato per curare le infiammazioni della gola, le bronchiti più gravi, i
comuni raffreddori e i disturbi alle vie respiratorie causati da allergie
croniche. Con la giuggiola secca si può fare un decotto da bere che servirà ad
alleviare i disturbi di aprile e maggio, unica controindicazione, pare che, le
dolcissime giuggiole frenerebbero il desiderio sessuale.
Frutto simbolo della transizione tra i prodotti estivi e quelli
invernali una volta veniva abbrustolito sul fuoco come si fa per le castagne e
venduto in coni di carta. Secche ricordano molto i datteri. Le giuggiole sono
ottime anche per la preparazione di marmellate, confetture, sciroppi, gelatine
e canditi, senza dimenticare il brodo di giuggiole.
Portare in tavola le giuggiole è una cosa irrinunciabile e saggia e
alcune ricette che ora proporrò ne sono un buon modo per assaporare il loro
dolce e aromatico sapore.
Per una gustosissima marmellata occorrono: giuggiole 1kg, zucchero 500
gr, limone 1, zenzero (radice) 4-5 cm, un pizzico di cannella.
Pulire le giuggiole ed estrarre il semino interno. Mettere le giuggiole in un tegame con il succo
di limone, lo zenzero grattugiato e due bicchieri d’acqua. Far cuocere finché
diventano molli, poi frullarle con un mixer ad immersione o con un passa
verdure se non si vogliono sentire le bucce. Aggiungere poi lo zucchero e far
addensare per almeno 15 minuti. Versarla nei vasetti ancora calda e farli
andare sottovuoto.
Un’altra ricetta squisita è la crema crudista di giuggiole, occorrono:
g. 125 di giuggiole mature, 1 cucchiaio e mezzo di farina di carrube( o cacao
amaro per chi preferisce), 3 cucchiai di sciroppo d’agave, 3 cucchiai di olio
di mais, g 40 di noci americane, 1 cucchiaino di buccia d’arancia, un pizzico
di zenzero essiccato.
Versare tutti gli ingredienti tranne l’olio in un robot da cucina e frullare,
aggiungere l’olio un po’ alla volta finché non risulta una bella crema
spalmabile. Si può conservare in frigo per alcuni giorni.
Miscelate in una ciotola le farine, il lievito, lo zucchero e la scorza di limone, l’olio, amalgamando il tutto aggiungendo un po’ d’acqua. Alla fine aggiungere i pezzetti di giuggiole, otterrete un impasto morbido. Formare delle palline schiacciate e disponetele su una placca da forno coperta con carta forno. Cuocere i biscotti in forno preriscaldato a 180° per circa 20 minuti.
Frutti dimenticati perché considerati poveri
Frutti intrisi di nostalgia per i tempi passati...
Bacche graziose che cambiavano colore
Corteccia rugosa
che ricorda le mani dei contadini piene di
rughe e calli
Preziosi prodotti della nostra terra
Frutti riscoperti…
Com’è bello camminare nel verde
osservare quali frutti sono maturati al sole,
raccoglierli direttamente dagli alberi
Ah! Quale magia, quale sapore e quale sapere
La
Natura ci offre stagione dopo stagione.
Poesia by Mara
Ruta Graveolens
La Ruta Graveolens è una
pianta della famiglia delle Rutacee, originaria dell’Europa, è comune in Italia
in tutte le regioni, eccetto le isole, dove si trova solo coltivata.
È un’erba perenne,
dall’aspetto cespuglioso e grazioso, con i rami inferiori lignificati; ogni
anno su questi rami ne crescono altri erbacei.
I fusti alti fino ad un
metro sono semplici, di colore verde tendente all’azzurro ed erbacei nel primo
anno di vita, poi legnosi e marroni.
Le radici sono fibrose,
bianche e robuste e molto sviluppate in profondità. La Ruta Graveolens è
riconoscibile per il particolare colore verde-azzurrino delle foglie e per
l’intenso odore caratteristico.
Le foglie, formate da
2-3 foglioline, se guardate in trasparenza, hanno dei punti traslucidi, sono le
ghiandole odorifere responsabili del suo profumo intenso, quasi nauseante.
I fiori sono di piccole
dimensioni, raggruppati in cima ai rami: giallo-verdognoli, passano quasi
inosservati; la fioritura si verifica durante l’estate.
Nasce nei terreni
incolti, aridi, sassosi e nei dirupi esposti al sole.
Il nome Ruta deriva dal greco “Reuo” che significa “liberare” e “Graveolens”
che significa “dal forte profumo”.
Sia nell’antichità che nel Medioevo, la Ruta Graveolens era una pianta
officinale molto apprezzata, nonostante gli antichi greci la ritenessero
velenosa, perché l'avevano scambiata per un'altra pianta come la cicuta, ma
anche perché non conoscendo bene le sue proprietà la utilizzavano in forti dosi
e chi la prendeva moriva per la sua forte tossicità.
La ritenevano efficace per le malattie oculari, per il mal d’orecchi, in
caso di parassiti intestinali.
Plinio era convito che
questa erba fosse un rimedio contro i morsi di vipere e altri serpenti velenosi
e il comportamento della Questo aceto conteneva anche salvia, timo, lavanda, rosmarino e aglio:
l'effetto però non era riconducibile al forte odore di Ruta, come si pensava
allora, ma piuttosto all'effetto antisettico degli oli essenziali contenuti
nelle altre piante.
Veniva tenuta in casa per proteggersi dalle pulci, portatrici della
malattia. I pavimenti delle prigioni e le aule d’udienza erano cosparse di Ruta
in modo da tenere lontana la temuta” febbre della prigione”, causata dalle
pulci e dai topi, mentre gli ufficiali della corte ne portavano con sé un
piccolo mazzetto in modo da evitare il pericolo di essere infettati dai
prigionieri.
Ippocrate attribuiva a questa
pianta la capacità di impedire la germinazione dei semi e la procreazione.
Da centinaia di anni si sa che se presa in dosi elevate provoca l’aborto
nelle donne in stato interessante.
Sembra che Leonardo da Vinci e Michelangelo si lavassero spesso gli
occhi con un infuso di Ruta, pare che questo rendesse la loro vista acuta ed esaltasse
le loro capacità creative.
La Scuola di Salerno, Accademia medica che ebbe grande fortuna nel Medioevo
diceva: “nobile è la ruta che la vista rende perfetta”. Si pensava che questa
erba aumentasse il desiderio nelle donne, ma non negli uomini, nuovamente la
Scuola di Salerno diceva:” nell’ uomo Venere affredda e nella donna assai
l’accende”.
La ricerca moderna ha confermato molte teorie del passato, in particolare
si è riconosciuto alla Ruta proprietà “emmenagoghe” donnola confermava la sua
tesi. Prima di scontrarsi con questi animali, si struscia contro i cespugli di
Ruta.
La reputazione di ottimo farmaco la Ruta Graveolens lo conquistò nel
XVII secolo, al tempo delle grandi epidemie di peste. Essa era contenuta nel
famoso "aceto dei briganti", con il quale quattro ladri si erano
strofinati prima di saccheggiare in Francia le case in cui vivevano gli
ammalati di peste, evitando così il contagio.
cioè di rendere il ciclo mestruale più abbondante e perfino di provocarlo.
Non va mai ingerita durante una gravidanza perché può facilmente
provocare un aborto, oltre che infiammazioni genitali e intestinali.
Rende la vista più acuta, e combatte la fragilità dei capillari, specie
la rutina, sostanza estratta dalla pianta, a volte insieme alla vitamina C.
Allontana i serpenti, i topi, e molti insetti molesti. Se saggiamente adoperata, con dosaggi misurati.
La ruta Graveolens possiede molte virtù: ha proprietà aromatizzanti,
digestive, emmenagoghe, protettrici vasali, pigmentanti, rubefacenti.
Nota soprattutto come aromatizzante di distillati alcolici cui
conferisce un particolare potere digestivo (già nel Medioevo, veniva usata come
ingrediente nella preparazione del vino aromatico alle erbe, ed ancor oggi
viene usata in Spagna e nell’Italia meridionale per aromatizzare il brandy),
stimola infatti la secrezione gastrica, facilita la digestione, elimina la
fermentazione.
Tutte proprietà che si manifestano a piccole dosi.
Fin dalla prima epoca romana, la Ruta Graveolens ha avuto una grande
importanza nei racconti, nelle favole, nelle leggende e nelle superstizioni.
Una di queste diceva che questa pianta fosse in grado di allontanare la
paura, bastava metterla in tasca quando si dovevano affrontare situazioni di
paura, e le case in cui cresceva erano ritenute privilegiate.
Nel rinascimento venne chiamata “Herba de fuga demonis” ed era
considerata un’erba sacra, perché si credeva che il suo odore forte
allontanasse agli spiriti maligni.
I sacerdoti druidi la
spargevano nelle loro case e nei posti di lavoro per scacciare il diavolo e gli
spiriti maligni.
Dei rami di Ruta venivano messi sulle tombe dei defunti per allontanare
gli spiriti.
Fino a tutto l’ottocento è stata usata nelle pratiche esorcistiche,
forse per la disposizione a croce dei petali.
Nel Medioevo i monaci dei monasteri mescolavano alcune foglie di Ruta
Graveolens alle insalate perché ritenevano fosse afrodisiaca e quindi la
impiegavano per liberarsi da istinti e da sogni erotici.
Sempre nel Medioevo, nella notte di S. Giovanni, la Ruta Graveolens era
una delle erbe aromatiche che avevano il potere di difendere dagli attacchi di
streghe, demoni e ogni altra entità malvagia e ai loro sortilegi.
Gli antichi alchimisti consideravano questa pianta speciale, per le
eccezionali proprietà fisioterapiche ed esoteriche, in quanto permetteva
all’uomo coi suoi poteri di controllare la propria
mente.
La Ruta Graveolens ha ispirato la creazione dell’immagine del seme di
Fiori nelle carte da gioco.
Le foglie fresche possono essere usate con moderazione e in dosi
piccolissime per insaporire insalate, carni, pesci, olii e aceti aromatici.
Anche oggi questa pianta è guardata con una certa venerazione ma abbiamo
l’obbligo di dire che la Ruta è una pianta velenosa, il cui uso sconsiderato ed
eccessivo potrebbe provocare seri disturbi o, addirittura, avvelenamenti
letali.
L’olio di Ruta può causare irritazioni, arrossamenti e vesciche, per
questo motivo è sconsigliabile raccoglierla a mani nude. L’assunzione di alte
dosi può causare dolori di stomaco, vomito, convulsioni, confusione mentale,
aborto.
L’uso famigliare è da escludere ma per chi volesse preparare la tipica
grappa aromatica ad uso digestivo da bere sempre ovviamente in piccole dosi,
basterà mettere a macerare per un mese un rametto di Ruta in una bottiglia di
grappa, lasciando il rametto all’interno della bottiglia finché non è finita la
grappa.
Profumo
forte, intenso, impregna l’aria.
Cerco tra
le erbe, il tuo colore particolare, il tuo fiore strano….
Ti vedo.
Stabilisco
un legame diretto tra il tuo profumo e le leggende legate ad esso.
La mente
vola indietro nei secoli,
L’aspetto
delle cose cambia come pure le emozioni, le sensazioni…
Vite
intrecciate alle piante,
Magia e
bellezza,
Paura e
aiuto,
Vita e
morte
Tutto
racchiuso in una sola essenza,
Ricordiamo che:
Prima
di intraprendere una cura a base di piante medicinali si deve sempre
interpellare un medico specialista in materia e seguire le sue indicazioni
Tutte le piante officinali
vanno usate con estrema competenza ed esperienza, con estrema cautela.
La raccolta delle erbe
salutari è un’arte abbastanza difficile: è necessario saperle riconoscere e
rispettare l’epoca in cui i principi attivi è più elevata. Èindispensabile
scegliere bene i luoghi di raccolta, per evitare piante inquinate o avvelenate
da scarichi o smog. È obbligatorio conoscere le regole di conservazione,
essicazione, preparazione e assunzione.
Numerose piante possono
risultare tossiche, se non addirittura velenose, se usate in maniera non
appropriata, o sono controindicate a determinati soggetti o situazioni
L’autoterapia può
essere pericolosa, consultare sempre un medico
Il nostro scopo è quello di
fornire una base al passeggiatore curioso. Alla persona che vuole sapere quali
sono le piante che incontra e sapere che molte hanno proprietà salutistiche.
Per trovare la voglia di tornare alla natura e guardare con nuovi occhi quello
che ci circonda cogliendone la magnificenza. Un passaggio che ci porta dentro
la natura e dentro noi stessi.
Posted by Mara
Daucus Carota ( carota selvatica)
La
carota selvatica appartiene alla famiglia delle Apiaceae (Umbelliferae)
che comprende più di 3000 specie diverse. Sia la carota selvatica che quella
coltivata appartengono alla specie Daucus carota. È una pianta
abbondantissima allo stato spontaneo, dal mare alla montagna, in tutti i
terreni specialmente con terra argillosa, nelle zone aperte e soleggiate, ma
anche in tutti gli ambienti rurali e perfino alle periferie cittadine. La carota
selvatica è simile alla «sorella» coltivata. È una pianta erbacea
biennale, con la tipica radice carnosa e ingrossata; biancastra e piuttosto
esile, a differenza di quelle delle varietà coltivate, di tinta arancione e
forma varia. Nel primo anno di vegetazione produce le foglie basali, nel
secondo si forma tra queste il fusto eretto, alto, ramificato nella parte
superiore, che può raggiungere anche l o 2 metri di altezza. Le foglie hanno
forme diverse
a seconda della posizione: ad esempio, quelle basali sono dentate, incise.
Il nome Daucus Carota deriva dal greco “Daukos”che pare derivasse da
Daio” “abbruciare, riscaldare”. Carota da “Karotón”. La Carota selvatica è
diffusa in Europa, in Asia e nel Nord Africa. Antenata della carota
commestibile era conosciuta sin dall’antichità. Le notizie storiche della
pianta sono poche, tuttavia si sa che greci, latini, slavi e germani
l’apprezzavano soprattutto per il suo profumo aromatico. È raffigurata negli
affreschi di Pompei, Romani e Greci la usavano esclusivamente come pianta
medicinale ad azione diuretica. Probabilmente la ritenevano troppo legnosa da
mangiare. Il fittone radicale della carota selvatica è duro, sottile, mentre
quello che consumiamo oggi fu selezionato nel XVI secolo. Carlo Magno fu il
primo a raccomandare la coltivazione delle carote.
In Inghilterra, durante il regno di Giacomo I, le dame usavano adornarsi i capelli con rami fioriti di Carota selvatica. Sempre in Inghilterra dove è chiamata Queen Anne’s Lace, una leggenda fa risalire l’origine della somiglianza di questo fiore al pizzo cui stava lavorando la regina Anna, macchiato da una goccia di sangue che uscì dal suo dito essendosi punta con l’ago. Al centro dell’ombrella si scorge il piccolo fiore rosso che rappresenta il sangue della regina. Anticamente si pensava che i fiori di Carota selvatica, raccolti in una notte di luna piena, servissero a curare l’epilessia, oppure fatti bollire nel vino, favorissero il concepimento, per favorirlo era necessario bere un bicchiere di questo vino. Probabilmente per la sua forma, era considerata afrodisiaca e adatta a curare l’impotenza maschile.
La Carota selvatica contiene glucidi, provitamina A,
vitamina B e C, sali minerali. E' stato riportato che contiene un composto
anticoagulante, il ferulenolo, che non ci sarebbe più in quella coltivata. È
particolarmente efficace nella protezione della pelle e facilita l'abbronzatura
impedendo l'aggressione dei raggi ultravioletti, agisce come bioattivante
cutaneo. La radice ha la proprietà di attenuare le infiammazioni dello stomaco
e dell’intestino, di stimolare la diuresi, di depurare l’organismo. I semi e i
frutti hanno proprietà diuretiche. L'infuso di carota selvatica è efficace in
caso di difficoltà di urinare. L’olio
di carota selvatica contiene carotene e vitamina A, il che è buono per i
capelli, gengive, denti e la vista. Dai semi si estrae un olio usato in
profumeria. Nelle essenze floreali francesi la carota selvatica favorisce la
calma e riposa la mente. Nelle essenze floreali californiane viene usata come
rimedio naturale per lo scarso rendimento sessuale. In aromaterapia l’olio
essenziale di carota selvatica viene indicato per il trattamento e la rimozione
delle rigidità emozionali che interessano il plesso solare e il cuore. Il
centro dell’ombrello della carota selvatica è il suo contrassegno, anche quando
è sfiorito il fiore si curva verso l’interno a formare una coppa protettiva
intorno al suo centro. Questa qualità centrale della Carota Selvatica aiuta le
persone non più capaci di centrare le energie ed i pensieri per via delle
eccessive influenze esterne.
In cucina
si utilizzano le foglie in insalata fresca da sola o con altri vegetali, è
molto gustosa. Cotta, nelle misticanze di erbe a cui conferisce un aroma
particolare. Le ombrelle si possono passare in pastella e friggere. I semi
trovano impiego in pasticceria o per aromatizzare liquori a base di erbe.
Il centro
del fiore, di colore rosa scuro/violaceo, viene usato dai miniaturisti come
colore.
I fiori della Carota selvatica sembrano tanti
deliziosi pizzi che si prestano bene a comporre bouquet estivi o per farli
essiccare per le composizioni invernali. Basta poco per creare una composizione
elegante e festosa da mettere sulla tavola o una ghirlanda, di seguito alcuni
esempi:
per un centrotavola occorrono: 3 bottiglie di vetro da succo di frutta o
altro, colla a caldo, del nastro, un piatto in vetro, della spugna da
fioristi.
Unire insieme le tre bottiglie con un po’ di colla e fissarle
ulteriormente con un nastrino. Riempire le bottiglie con acqua e inserire i
fiori. Fissate tutta la composizione su un piatto in vetro fissando attorno un
piccolo strato di spugna da fioristi dove andranno poi infilati altri fiori a
ricoprire il tutto.
Per fare una ghirlanda occorrono: Dei rami
intrecciati, filo di ferro sottile, parecchi fiori di carota selvatica.
Preparare un cerchio con dei rametti, poi preparare diversi mazzolini di fiori legati tra loro con il fil di ferro. Fissarli poi al cerchio con dell’altro fil di ferro, sovrapponendoli in modo che questo non si veda. Continuare fino a completare il giro.
Campi e prati estivi punteggiati da candide fioriture, occhi aperti sul cielo, catturano lo sguardo,
attimi di gioia infinita.
Soffici nuvole ornate di merletti ondeggiano al vento, perfettamente a loro agio.
Fragili e forti, delicati e preziosi, belli e magici
alimentano la nostra sete di unione,
illuminano con il riflesso del cielo la nostra anima stanca e addormentata.
Pulsa nelle nostre vene la voglia di uscire fuori,
l’urgenza di vivere
di comprendere l’universale messaggio d’amore.
- Ricordiamo che:Prima di intraprendere una cura a base di piante medicinali si deve sempre interpellare un medico specialista in materia e seguire le sue indicazioniTutte le piante officinali vanno usate con estrema competenza ed esperienza, con estrema cautela.La raccolta delle erbe salutari è un’arte abbastanza difficile: è necessario saperle riconoscere e rispettare l’epoca in cui i principi attivi è più elevata. Èindispensabile scegliere bene i luoghi di raccolta, per evitare piante inquinate o avvelenate da scarichi o smog. È obbligatorio conoscere le regole di conservazione, essicazione, preparazione e assunzione.Numerose piante possono risultare tossiche, se non addirittura velenose, se usate in maniera non appropriata, o sono controindicate a determinati soggetti o situazioniL’autoterapia può essere pericolosa, consultare sempre un medicoIl nostro scopo è quello di fornire una base al passeggiatore curioso. Alla persona che vuole sapere quali sono le piante che incontra e sapere che molte hanno proprietà salutistiche. Per trovare la voglia di tornare alla natura e guardare con nuovi occhi quello che ci circonda cogliendone la magnificenza. Un passaggio che ci porta dentro la natura e dentro noi stessi.
Lonicera Caprifolium ( Caprifoglio)
Il genere Lonicera racchiude circa
duecento specie di arbusti, a foglia caduca o sempreverde, diffusi in natura in
Europa, in Asia e in nord America; si tratta di piante molto diverse a seconda
della specie; Si tratta di rampicanti rigogliosi, con fusti leggeri che si
attaccano a qualsiasi sostegno trovino, oppure si sviluppano strisciati; la
caratteristica principale di questi rampicanti è sicuramente la lunga fioritura
profumata, che dura per tutta l'estate.
Ha fusti leggeri, la corteccia dei rami è liscia e di colore brunastro, le foglie sono di colore verde nella pagina superiore e glauche in quella inferiore, quelle del fusto sono opposte, semi coriacee, a volte con il bordo marroncino, nel punto in cui le superiori abbracciano i fusti si sviluppano i fiori, a fasci.
I fiori di colore bianco con sfumature rosse all'esterno sono riuniti in cime limitate sull'ultimo paio di foglie, profumatissimi. La corolla ha forma tubolare, lunga 3-4 cm, divisa alla fauce in due labbra di cui il superiore è diviso in quattro lobi, mentre l’inferiore è indiviso.I fiori attraggono soprattutto farfalle notturne e diurne, che con la loro lunga proboscide, riescono a raccogliere il nettare contenuto, nel lungo tubo corollino.
Il frutto è una bacca di colore arancio, velenosa. Fiorisce da maggio a luglio, da 0 a 1200 metri,predilige i terreni calcarei e ombrosi del sottobosco, le macchie, i vigneti, le boscaglie e i margini dei boschi caducifogli.Presente in tutta Italia ad esclusione di Valle d'Aosta, Sicilia e Sardegna.
Le piante di questa specie hanno una lunga esistenza, ma dopo pochi anni di vita si essiccano quasi completamente,a questo punto dalla ceppaia crescono nuovi polloni, che dopo un certo numero di anni muoiono, ripetendo da capo il ciclo appena descritto.
Il nome Lonicerafu inventato nel 1753 da CarolusLinnaeus, adattando al latino il cognome Lonitzer, in onore del botanico austriaco Adam Lonitzer (1528 - 1586), mentre il nome specifico (caprifolium)deriva dal latino “capra”, capra e “folium” cioè foglia, probabilmente dal fatto che le capre usano brucare le foglie di questa pianta.
Il nome comune di “Abbracciabosco” deriva dal portamento rampicante, che spesso avvolge le piante vicine, danneggiandole.Il Caprifoglio nell'antichità era conosciuto con il nome di madreselva. I greci chiamavano queste piante "peryclimenon" che significa “accerchiamento”.
Il caprifoglio era già usato come pianta medicinale dagli egizi, greci e romani.Plinio e Dioscoride ne consigliavano il tè (il decotto)delle sue foglie, con o senza fiori. Gliattuali manuali di fitoterapia la definiscono “bevanda di conforto”, consigliata in alternativa al tè! Le foglie si raccolgono da maggio a luglio, in giornate asciutte, facendo scorrere le mani lungo i fusti.
I fiori si raccolgono prima della fioritura, maggio-giugno, recidendoli di sera con tutto il picciolo. Foglie e fiori si essiccano all’ombra. Le bacche del caprifoglio sono tradizionalmente considerate velenose, ma la documentazione è molto limitata, e la loro ingestione è, il più delle volte, asintomatica.
Le bacche hanno inoltre sapore amaro, che ne evita il consumo da parte dei bambini.
Il Caprifoglio è un’erba leggermente
dolciastra, ad azione rinfrescante, antibatterica, diuretica, antipiretica,
antinfiammatoria, ipotensiva, antispastica e sudorifera; contiene:acido
salicilico, glucosidi, tannini e oli essenziali.I fiori del Caprifoglio hanno
un’azione specifica sui disturbi che interessano l’apparato respiratorio.
Per
uso interno è efficace in caso di artrite reumatoide, orecchioni, infezioni
delle prime vie respiratorie, febbre, congiuntivite, infiammazioni della gola e
infezioni del tratto urinario. Per uso esterno è efficace nelle stomatiti,
nelle dermatosi e sulle ferite.
L'olio di Caprifoglio è ampiamente utilizzato
in aromaterapia. Maschere e lozioni preparate con infuso di fiori e foglie
hanno una buona azione tonico-astringente sulla pelle, specialmente se grassa. La
corteccia essiccata e ridotta in polvere, può essere usata come incenso.
Il Caprifoglio rappresentava la rinascita e la
sopravvivenza della vita attraverso il lungo inverno (che rappresenta la morte)
e veniva usato per decorare l'altare dell'Equinozio di Primavera proprio per il
suo significato di rinnovamento. Veniva usato anche nel periodo opposto e cioè
in autunno.
Il Caprifoglio era la pianta di Eros, e i suoi bellissimi fiori avevano
proprietà portafortuna durante le cerimonie matrimoniali. Questo particolare si
è conservato nel nome del ‘linguaggio dei fiorì, in quanto viene definita
‘legame d’amore’, ed i suoi fiori profumatissimi (color avorio o rosso porpora)
ne sono il simbolo.
Anticamente i fiori, posti nella stanza di una fanciulla,
favorivano i sogni d'amore mentre tenuti in casa delle fanciulle nubili ne
facilitavano ilmatrimonio. Se si raccoglie un ramo di Caprifoglio, si dona alla
propria famiglia pace e serenità. Tutte le storie legate al Caprifoglio, in
qualche modo sono riconducibili all’amore, ed in particolare all’amore di una
donna che si “attacca” e rimane avvinghiata all’uomo immagine del suo amore.
In
Inghilterra, regalare un ramo di Caprifoglio è ancora significato di promessa
di fedeltà. Per i popoli di origine celtica i fiori di Caprifoglio avevano la
capacità di realizzare degli incantesimi d’amore, essendo in grado di
combattere il “veleno” prodotto dalla nostalgia d’amore. Perla medicina
tradizionale cinesequesta pianta era in grado di rafforzare la libido e la
potenza sessuale".
Innamorarsi ogni giorno
Di un profumo, di una pianta, di un fiore
Colpo di fulmine misterioso,
Canto alla bellezza della Natura
Richiamo travolgente, misterioso, affascinante.
Occhio del cuore che si apre, si espande
Alla ricerca della sua terra, del suo seme
Di ogni sua emozione.
Inebrianti coccole di vita.
Prima
di intraprendere una cura a base di piante medicinali si deve sempre
interpellare un medico specialista in materia e seguire le sue indicazioni
Tutte le piante officinali
vanno usate con estrema competenza ed esperienza, con estrema cautela.
La raccolta delle erbe
salutari è un’arte abbastanza difficile: è necessario saperle riconoscere e
rispettare l’epoca in cui i principi attivi è più elevata. Èindispensabile
scegliere bene i luoghi di raccolta, per evitare piante inquinate o avvelenate
da scarichi o smog. È obbligatorio conoscere le regole di conservazione,
essicazione, preparazione e assunzione.
Numerose piante possono
risultare tossiche, se non addirittura velenose, se usate in maniera non
appropriata, o sono controindicate a determinati soggetti o situazioni
L’autoterapia può
essere pericolosa, consultare sempre un medico
Il nostro scopo è quello di
fornire una base al passeggiatore curioso. Alla persona che vuole sapere quali
sono le piante che incontra e sapere che molte hanno proprietà salutistiche.
Per trovare la voglia di tornare alla natura e guardare con nuovi occhi quello
che ci circonda cogliendone la magnificenza. Un passaggio che ci porta dentro
la natura e dentro noi stessi.
Posted by Mara
Lavanda (
Lavandula officinalis)
Il genere
Lavandula appartiene alla
famiglia delle Lamiaceae e
comprende una trentina di specie originarie dei Paesi del Mediterraneo.
Impossibile non riconoscere la Lavanda nelle sue varietà più diffuse: Sono piante perenni, sempreverdi,
di piccole dimensioni raggiungendo infatti al massimo un'altezza di un metro. Si
presentano sotto forma di cespugli con fusti ruvidi e legnosi e rametti eretti
ricchi di foglie lineari, lanceolate, strette, dal
colore verde-grigio e dall’aspetto vellutato. Le infiorescenze, portate da lunghi steli, sono delle spighe.
Ciascuna spiga contiene un numero variabile di fiori molto profumati e con aroma variabile a seconda della
specie. Le spighe compaiono a fine maggio o giugno. Il colore dei piccoli fiori
ispira subito leggerezza e soavità. I petali, vellutati e violacei, sono in
verità 5 lobi distribuiti sulle due labbra che formano la corolla al di sopra
del calice. La fioritura è abbondante e persistente fino a settembre inoltrato,
ma nel periodo di luglio e agosto l’aroma e maggiormente intenso e duraturo.
La lavanda è una pianta molto rustica,
che ben si adatta alle diverse situazioni climatiche, cresce spontanea
nell'Italia meridionale e la ritroviamo nei terreni aridi, sassosi e assolati a
formare dei bellissimi cespugli. È anche molto coltivata, i campi di Lavanda
offrono uno dei più suggestivi spettacoli che la natura può offrire.
Il nome generico Lavanda con il quale siamo
abituati a chiamare queste piante, deriva dal verbo latino “lavare”, I romani
infatti, la usavano per profumare e disinfettare le acque delle terme. Era
pianta sacra alla dea Vesta, protettrice del focolare domestico e della
famiglia, perciò le sacerdotesse intrecciavano con i suoi fiori una corona da
portare sul capo durante i riti. Per i Greci la Lavanda era sacra alla dea
Ecate, protettrice delle maghe e degli indovini: nella notte del solstizio d’estate
(21 giugno) le streghe che praticavano la magia bianca ne offrivano mazzetti di
buon augurio per le compagne. Mentre i popolani ne mettevano mazzetti o piante
sugli usci e sulle finestre, affinché tra i rami contorti venissero
imprigionatele maledizioni altrui e per proteggere dalla magia nera. In magia la lavanda veniva
usata per le sue proprietà purificanti e per la capacità di aprire le porte
della percezione. Si riteneva che fosse così potente che se osservata molto a
lungo nei momenti di depressione, facesse tornare il buon umore e la serenità,
che il suo odore allungasse la vita. Indossata dalle donne stimolava l’amore
passionale da parte degli uomini. Un mazzetto di lavanda sotto il cuscino aiutava
a fare sogni profetici circa i propri desideri. Simbolo della purezza, virtù e
serenità si riteneva capace di attrarre verso il corpo energie positive. Anche
i Fenici e gli Egiziani utilizzavano la Lavanda per le abluzioni e lavaggi nei
rituali funebri.Durante il Medioevo
con la Lavanda si preparava un medicinale chiamato Sticadore utilizzato per
curare crampi intestinali, nausea, vomito e singhiozzo. Durante il periodo
Elisabettiano ha inizio la larga diffusione della lavanda nel campo della
profumeria con il noto profumo inglese chiamato “The Lavender”. Le dame, in
quel periodo, cucivano all’interno delle loro gonne dei sacchetti contenenti
fiori di lavanda ed è forse proprio da questa usanza che ancora oggi si usano i
sacchetti di lavanda per profumare la biancheria e tenere lontane le tarme. Dal medioevo al Rinascimento
la lavanda era usata per scongiurare le infezioni da peste, colera, epidemie
varie.
La lavanda, nel linguaggio dei fiori, ha
due significati diversi e in contrapposizione tra loro. Il primo indica “il tuo
ricordo è la mia unica felicità”. La spiga della lavanda, infatti, è
considerata un amuleto contro le disgrazie e un talismano della fecondità.
Altro significato, molto diffuso, riprende una tradizione che rivela come la Lavanda
fosse usata in antichità contro i morsi di serpente. Era, dunque, considerata
un rimedio ma la credenza antica sosteneva che i serpenti facessero i loro nidi
proprio all’interno dei cespugli di lavanda e quindi che bisognasse sempre
avvicinarsi con prudenza. In oltre tra i suoi fiori spesso ronzano e sostano le
api, da qui, il significato di “diffidenza”.
Tutti questi riti trovano fondamento
nelle proprietà della Lavanda: aromatiche, antisettiche, balsamiche, sedative,
antispasmodiche, antinfiammatorie, antiossidanti, ora confermate dalla
farmacologia che ha individuato le sostanze chimiche e i principi che ne
determinano le proprietà medicinali contenute nell’olio essenziale. L’olio
essenziale di Lavanda non ha effetti tossici, l’unica controindicazione sta che
nell’uso di dosi elevate possa provocare agitazione. Éutilizzato
per il trattamento delle infezioni cutanee, per curare acne e forfora oltre che
come lenitivo su arrossamenti e punture di insetti, per massaggi contro il mal
di testa e per la decontrattura dei muscoli. Favorisce la ricostruzione dei tessuti
lesi e sollecita le difese organiche. Utile anche nei collutori per le
infiammazioni delle mucose orali. Favorisce il relax ma agisce come
antidepressivo, consigliato per curare stati d’ansia, insonnia,
agitazione,ipertensione, nervosismo, ma anche per combattere allergie o le
comuni malattie da raffreddamento. Alcuni studi hanno dimostratoche, l’essenza di
Lavanda diffusa in un ambiente di lavoro, serve a stimolare la produttività. Proprio recentemente uno studio del
King's College di Londra ha avvalorato che se nebulizzata negli ambulatori
dentistici serve a calmare notevolmente l'ansia dei pazienti. In molte cliniche per malattie nervose
le nebulizzazioni di lavanda curano persone afflitte da stati ansiosi e
depressivi, esercitando un'azione equilibratrice. Viene impiegata persino negli
asili, adatta ai bambini: aiuta la concentrazione, purifica l'aria e stimola la
capacità di resistere agli attacchi dei microbi.
I fiori di lavanda si raccolgono in periodi
diversi a seconda del loro utilizzo: per uso erboristico si raccolgono
all'inizio della fioritura mentre per l'industria cosmetica e per la profumeria
nel periodo di massima fioritura. Il momento migliore rimane comunque sul
finire della fioritura, infatti in questo momento la quantità di olio
essenziale contenuta è maggiore, un buon 20% in più, inoltre i fiori sono già
stati impollinati dagli insetti.Le infiorescenze si raccolgono recidendole alla
base e si fanno seccare in mazzi appesi a testa in giù, in luoghi ventilati ed
ombrosi in quanto il sole scolorirebbe i fiori. Quando sono secchi si separa la
spiga dal gambo e si conservano i fiori o in sacchetti di tela o in ciotole per
profumare la casa.I fiori della lavanda mantengono a lungo il loro profumo
tanto che vengono normalmente conservati in sacchetti di mussola o tela per
profumare la biancheria. I fiori freschi vengono invece utilizzati per estrarre
gli oli essenziali.
Grazie alle virtù purificatrici la
Lavanda, risulta perfetta nelle preparazioni di incensi o miscele simili. Per
avere un effetto purificante, raccogliere gli steli e farne dei mazzetti da
bruciare. Si raccolgono e si legano con un filo, si otterrà una specie di torcia.
Una volta accesa a fiamma viva, andrà spenta dopo poco. Farà un fumo denso, azzurrastro,
aromatico, indicato per gli ampi spazi o all’aperto.
Un fiore dalle mille proprietà
medicinali ed estetiche che però può essere usato anche in cucina, nella preparazione di dessert
(albicocche e pesche profumate dai fiori possono essere cotte in padella o
farne marmellate), per profumare in modo delicato il miele e dolcificare poi i
dolci al cucchiaio ed il gelato, e anche spolverizzata sulla carne alla griglia.
I fiori della lavanda
attirano molto le api che producono un ottimo miele aromatico, raro, pregiato e
molto richiesto.
Per chi volesse cimentarsi in un semplice
oleolito efficace contro le punture delle zanzare questo è il procedimento: si
riempie un vaso con i fiori di Lavanda freschi, poi si riempie il vaso di olio
extra di oliva o di semi (meno forte nell’odore). Quindi si lascia macerare il
tutto al buio una o più settimane, aprendo il vaso si dovrebbe sentire il
profumo di lavanda. Quindi filtrare strizzando bene il residuo della
macerazione. Mettere in una boccetta scura e usarne qualche goccia sulle
punture delle zanzare, prurito e rossore passeranno subito. Lo stesso olio può
essere usato anche per massaggi.
C’è una potenza magica e meravigliosa in
alcuni fiori;
È il loro profumo.
Profumo d’estate, di pulito, di libertà.
Odore inebriante, sensuale.
Mi rapisce, mi porta con se.
Sensazioni diverse mi avvolgono,
svegliano i sensi.
Serenità.
Tranquillità del corpo e dello spirito.
Primordiali immagini affiorano alla mente…
Danza
antica tra i fiori,
Un corpo avvolto dal loro profumo,
dal loro colore.
Emozione aromatica che diventa parte
dalle mia pelle.
La natura dentro di me si risveglia
Portandomi in contatto con le parti più
profonde di me.
Ricordiamo che:
Prima
di intraprendere una cura a base di piante medicinali si deve sempre
interpellare un medico specialista in materia e seguire le sue indicazioni
Tutte le piante officinali
vanno usate con estrema competenza ed esperienza, con estrema cautela.
La raccolta delle erbe
salutari è un’arte abbastanza difficile: è necessario saperle riconoscere e
rispettare l’epoca in cui i principi attivi è più elevata. Èindispensabile
scegliere bene i luoghi di raccolta, per evitare piante inquinate o avvelenate
da scarichi o smog. È obbligatorio conoscere le regole di conservazione,
essicazione, preparazione e assunzione.
Numerose piante possono
risultare tossiche, se non addirittura velenose, se usate in maniera non
appropriata, o sono controindicate a determinati soggetti o situazioni
L’autoterapia può
essere pericolosa, consultare sempre un medico
Il nostro scopo è quello di
fornire una base al passeggiatore curioso. Alla persona che vuole sapere quali
sono le piante che incontra e sapere che molte hanno proprietà salutistiche.
Per trovare la voglia di tornare alla natura e guardare con nuovi occhi quello
che ci circonda cogliendone la magnificenza. Un passaggio che ci porta dentro
la natura e dentro noi stessi.
Borago Officinalis Borragine
Il Borago Officinalis
più conosciuto con il nome di Borragine, è un’umile pianta rustica dai bei
fiori blu ed è una delle piante medicinali più affascinanti e ricercate.La
Borragine è probabilmente originaria dell’Oriente, ed è diffusa in gran parte
dell’Europa e nell’America centrale. In Italia la troviamo più frequentemente
nella zona centro-meridionale. Cresce spontaneamente, ma ormai quasi
esclusivamente,lungo i viottoli, i muri diroccati, i giardini abbandonati,
scarpate, raramente la si incontra in campagna perché distrutta dai diserbanti.
È anche coltivata negli orti.
La Borragine è una
pianta annuale con una radice a fittone e il fusto carnoso, cavo, ricoperto di
peli bianchi. Può raggiungere i 60 centimetri di altezza. Le foglie sono di
forma ovale, allungata, pelose anch’esse, disposte in una robusta rosetta. Il
margine può essere intero o più spesso dentato, ondulato. Le foglie più vicine
a quello che diventerà in fusto sono più strette e lunghe. I fusti fioriferi in
primavera si innalzano dalla rosetta. I fiori della borragine sono viola-blu,
con forma a stella, raccolti in grappoli terminali su peduncoli pelosi. Hanno
stami muniti di una linguetta violacea disposti a cono. Fioriscono da maggio a
settembre. Della borragine attrae soprattutto il colore del fiore ed i suoi
cinque petali, ricordano il pentacolo simbolo di Venere. Dietro ai petali si
staglia un secondo giro di sepali che nuovamente ripete la magia del cinque.
La Borragine è una
pianta che fornisce un nettare molto gradevole, è molto ricercata dalle api che
ne ricavano un miele con un aroma particolarmente piacevole. Anche per le
formiche la Borragine ha una prelibatezza da offrire, associati ai semi maturi
c’è sempre una buona quantità di grassi, per questo le formiche portano via i
semi aiutando la diffusione della pianta.
Alcuni sostengono che il
nome derivi dal latino “Borra” (tessuto di lana) per la peluria che ricopre le
foglie. Altri suppongono derivi dall’arabo “Abou” (padre)a da “Rash” (sudare)
cioè “padre del sudore”, per via delle sue proprietà sudorifere. Altri ancora
che sia derivato dal celtico “Barrach” (coraggio). Infatti, aggiunta al vino,
veniva usata dai Celti per dare coraggio ai guerrieri per affrontare i nemici
in battaglia.
Gli antichi non
conoscevano appieno le capacità curative della Borragine, i fiori secondo la
tradizione popolare erano aggiunti al vino come filtro d’amore per convincere
gli uomini a sposarsi, i Romani la consideravano soltanto un rimedio contro la
malinconia. Per questa proprietà Plinio la chiamava “Euphosinum”, cosa
testimoniata anche dai versi “Ego, Borago, Gaudiasemper ago” (Io borragine, ti
darò sempre felicità). I Greci la usavano per curare il mal di testa da
sbronza. In gallese la Borragine si dice “Ilawenlys” che significa “erba della
contentezza”. Solamente a partire dal Medioevo, Alberto Magno, descriveva la
pianta con “generatrice”di buon sangue e nel cinquecento il grande erborista italiano
Mattioli la prescriveva contro collassi cardiaci, influenza, bronchiti.
Giuseppe Donzelli, medico napoletano, nel 1667 scrisse che l’acqua di Borragine
è adatta al cuore perché lo rallegra e lo corrobora. Toglie le immaginazioni
cattive, acuisce la memoria e la mente e distacca dal corpo tutti gli umori
cattivi. È utile ai melanconici e frenetici.
La Borragine ha proprietà emollienti, diuretiche, sudorifere,
depurative, antireumatiche, antiinfiammatorie. È ricca di potassio e sodio.
L’infuso di fiori di Borragine ha buone proprietà emollienti, ha anche un
effetto diuretico e depurativo. Le foglie sono un valido sudorifero. Infusi di
fiori di Borragine possono essere usati anche per detergere la pelle.
Una volta i bambini succhiavano spontaneamente il fiore dolce della
Borragine (seguendo un istinto primordiale), si è scoperto che essa contiene
un’elevata percentuale di acido gamma-linoleico, utile in organismi cui il
tessuto nervoso è ancora in formazione, come quelli infantili.
La Borragine, come altre piante, contiene alcaloidi Pirrolizidinici che,
se assunti costantemente (e si parla di mesi) possono creare lesioni e tumori
al fegato. Questo non significa che la Borragine è tossica ma che non va
assolutamente consumata ogni giorno e per lunghi periodi. Sono piante che
arrivano in primavera in un momento di cambio e si mangiano in stagione, ci
aiutano a purificarci e a riattivare i nostri organi dopo l’inverno e poi si
lasciano andare alla loro vita.
La Borragine è particolarmente gustosa ma immangiabile da cruda a causa
delle peluria di cui è circondata. Si aggiunge ai minestroni o alle verdure cotte
o come ripieno per tortellini. Le foglie si possono mangiare impanate e fritte.
I fiori possono essere conditi o congelati in cubetti di ghiaccio per
aggiungere un tocco particolare a punch o a drink freddi.
Un tempo si lasciavano i fiori di Borragine a macerare in aceto di vino
bianco, che diventava azzurro. Con quello si tingevano lane e altre fibre.
Oppure venivano usati per decorare le case per i matrimoni.
Alleanza uomo-erbe, beneficio, sollievo, benessere, armonia.
L’uomo si è allontanato dalla natura…civiltà…rovina…problemi.
Ritorna uomo alla Madre Terra, riscopri la culla delle tue origini,
I prati, le piante, le erbe, raccoglile, utilizzale.
Unisci le tue mani con i loro steli sempre protratti verso di te
Abbi fiducia in loro, riscopri il tuo legame indissolubile con la natura
Ristabilisci l’alleanza uomo-erbe.
Ricordiamo che:
Prima
di intraprendere una cura a base di piante medicinali si deve sempre
interpellare un medico specialista in materia e seguire le sue indicazioni
Tutte le piante officinali
vanno usate con estrema competenza ed esperienza, con estrema cautela.
La raccolta delle erbe
salutari è un’arte abbastanza difficile: è necessario saperle riconoscere e
rispettare l’epoca in cui i principi attivi è più elevata. Èindispensabile
scegliere bene i luoghi di raccolta, per evitare piante inquinate o avvelenate
da scarichi o smog. È obbligatorio conoscere le regole di conservazione,
essicazione, preparazione e assunzione.
Numerose piante possono
risultare tossiche, se non addirittura velenose, se usate in maniera non
appropriata, o sono controindicate a determinati soggetti o situazioni
L’autoterapia può
essere pericolosa, consultare sempre un medico
Il nostro scopo è quello di
fornire una base al passeggiatore curioso. Alla persona che vuole sapere quali
sono le piante che incontra e sapere che molte hanno proprietà salutistiche.
Per trovare la voglia di tornare alla natura e guardare con nuovi occhi quello
che ci circonda cogliendone la magnificenza. Un passaggio che ci porta dentro
la natura e dentro noi stessi.
Posted by Arianna
Rossa rosseggia tra le foglie la fragola…
Che fantastico frutto e che pianta modesta la fragola ….
Bella da vedere e facile da coltivare. Può essere tenuta in vasetti in
cassette più o meno grandi o anche in piena terra. A mezz’ombra o al sole.
Tuttavia hanno bisogno di costanza nella cura, non sono molto esigenti
perché sono piante che attecchiscono facilmente, difficilmente muoiono di caldo
o di freddo, ma hanno bisogno di acqua spesso ma non troppa, e di essere seguite quasi giornalmente perché
facilmente prendono la muffa grigia o vengono mangiate dalle lumachine.
Ma cominciamo dall’inizio: chi ha portato questa
fantastica pianta fino ai giorni nostri? La sua storia si perde nella notte dei
tempi tanto che non è sicura l’ origine della fragola: alcune fonti la
considerano originaria dell’Europa, in particolar modo dell’area alpinica,
mentre altri considerano la fragola originaria del Cile, e pare sia stato un ufficiale francese, agli inizi del Settecento,
che portò in Europa le piante madri utilizzate come
base per la costituzione dell'ibrido Fragaria x ananassa, a cui
appartengono tutte le varietà di fragole attualmente diffuse.
Tuttavia si può leggere in vari testi antichi che la fragola era citata e
conosciuta già sulle tavole dell'antica Roma: questo frutto infatti soleva
comparire in coincidenza con le feste in onore di Adone, alla morte del quale (come
narra la leggenda)Venere pianse copiose lacrime, che, giunte sulla terra, si
trasformarono in piccoli cuori rossi: le profumatissime fragole.
Altre leggende popolari più recenti dicono che la fragola sarebbe in grado di proteggere dal morso di vipere e serpenti: per scongiurare il pericoloso veleno di questi animali si dice si debba raccogliere le foglie della piantina la notte di San Giovanni.
Altre leggende popolari più recenti dicono che la fragola sarebbe in grado di proteggere dal morso di vipere e serpenti: per scongiurare il pericoloso veleno di questi animali si dice si debba raccogliere le foglie della piantina la notte di San Giovanni.
Chi avesse dunque raccolto le foglie nella notte tra il 23 ed il 24 di
giugno, le avesse fatte essiccare al sole e poi le avesse intrecciate per farne
una cintura, sarebbe stato tutelato da eventuali morsi, spesso letali, di
vipere e serpenti !
Fino al XVII secolo, in Europa venivano coltivate piante di specie
selvatiche autoctone (Fragaria vesca, F. viridis, o F. moschata) ed
altre varietà di fragole introdotte dall'America del Nord (F. virginiano):
con l'introduzione della specie americana, abbiamo cominciato ad avere nelle nostre
tavole frutti molto più grandi.
Le piantine vanno messe a dimora in un buon terreno ben fertilizzato o in
piena terra o in vasi anche di soli 15 cm. di profondità, in settembre/ottobre o in marzo/aprile,
cercando di collocarle a circa 30 cm l’una dall’altra per permettere alla
piantina di svilupparsi bene, annaffiandole abbondantemente dopo il trapianto.
Cresceranno piuttosto velocemente e bisogna ricordarsi di tenerle pulite
da piante infestanti e di togliere loro le foglie secche.
Se sistemate in piena terra sarebbe opportuno a fine maggio quando
iniziano a fruttificare mettere attorno alla pianta della pacciamatura, meglio
se paglia ma con lo scopo di tenere sollevati i frutti che altrimenti
appoggiati a terra potrebbero marcire con l’umidità del terreno o perlomeno
esser preda delle voraci lumachine.
Le piante delle fragole iniziano a fiorire verso fine aprile, metà maggio
e verso fine maggio dovreste avere le prime fragole pronte da gustare.
Da qui a poco la pianta oltre a fiori e frutti inizia la sua
autoriproduzione.
Si perché la pianta si autoriproduce emmettendo dei lunghi getti verdi che
appoggiandosi al terreno si auto impiantano formando così da sole nuove
piantine.
Se non volete che sul terreno le vostre fragole possano via, via negli
anni occupare troppo spazio, abbiate cure di tagliare gli stoloni appena
appariranno.
Le piante in cassetta o in vaso di solito diminuiscono la produzione di
frutti dopo 4 o 5 anni, per cui è consigliabile trapiantarla dopo appunto
questo periodo.
Conservazione: possono
essere congelate intere o a fette con l’aggiunta di un po’ di zucchero.
Gelatina di fragole: fate
cuocere 1 chilo di fragole fino a quando si sciolgono bene tutte, mettetele su
un telo di lino o su un filtro da cucina e lasciate colare il succo per tutta
una notte.
La mattina pesate quanto ottenuto,
poi preparate uno sciroppo a caldo con 100 gr. di acqua e 375 gr. di zucchero
per ogni mezzo chilo ottenuto dalla colatura,
quando ancora caldo unire il succo delle fragole e lasciar cuocere
finchè diventa gelatina.
Raffreddare e se non consumato tutto
al momento tenere in frigorifero.
Tante qualità nelle fragole:
Le fragole sono alleate della bellezza perché sono fatte al 90% di acqua, farne uso nella loro stagione giusta è
“quasi una cura” di ringiovanimento…. idratano le cellule dell'organismo senza
appesantirlo con troppe calorie.
Sono ricche di enzimi capaci di
attivare il metabolismo dei grassi aiutando il corpo a dimagrire con meno
fatica.
E sono pure anche ricche di fibre quindi
aumentano il senso di sazietà, sono
regolatrici intestinali e fanno assorbire meno grassi e meno zuccheri.
Il contenuto di vitamina C delle fragole ( cinque fragole contengono una
quantità di vitamina C pari a quella di un'arancia) favorisce l'assorbimento
del ferro, utile per la formazione dei globuli rossi e per i muscoli, e la
produzione di collagene, una proteina che previene le rughe e rafforza i
capillari riducendo ritenzione idrica e cellulite.
Questa azione antiritenzione viene potenziata dal potassio, un minerale di cui le fragole sono ricche.
Questa azione antiritenzione viene potenziata dal potassio, un minerale di cui le fragole sono ricche.
Le fragole sono state inserite tra i super cibi che "mantengono giovani" nella speciale classifica ORAC (Oxygen Radical Absorbance Capacity) stilata dall'USDA (il dipartimento dell'agricoltura statunitense) per il loro alto contenuto di sostanze antiossidanti benefiche per la salute.
Posted by Mara
Papaver Rhoeas Papavero Rosso
o Rosolaccio
È una pianta erbacea gracile e delicata, annuale, appartenente alla
famiglia delle papavaraceae, comprende circa un centinaio di specie.Noi lo
riconosciamo quando inizia ad aprire i tipici fiori rossi, quando sono visibili
i boccioli ingrossati.
Il Papavero, in realtà è presente già nei campi da un po’, anche se noi
non ci abbiamo fatto caso. Alla fine dell’inverno, dove le temperature lo
consentono, o in primavera, da un piccolo seme il Papavero forma una fitta
rosetta basale di foglie erettea margine dentato.
Dalla rosetta in seguito si elevano i fusti fioriferi. I fiori sono
solitari, inconfondibili, semplici, belli ed eleganti dal tipico, colore rosso
porpora, macchiati di nero internamente. Sono composti da petali leggeri ed
allargati che contornano una serie di stami neri e un grosso pistillo centrale;
poggiano su lunghi gambi. Il fusto alto da 30 a 80 cm è poco ramificato,
contiene un lattice bianco leggermente puzzolente, un alcaloide lievemente
velenoso. Tutta la pianta è coperta da
peli setosi e morbidi.
Quando i petali cadono rimane il frutto, una capsula ovale (che a
maturità si apre) con un coperchietto fatto a disco ondulato sulla parte
superiore, contenente molti semi bruno-nerastri (il Gravius con pazienza
infinita arrivo a contarne, in una di esse, 32000). Normalmente si apre per
mezzo di piccole valvole situate sotto il margine superiore. Queste valvole ad
un aumento dell’umidità dell’aria si stringono chiudendo le aperture. Se il
tempo è secco le valvole si aprono e, quando la capsula è scossa come un
piccolo sonaglio dal vento i semi sfuggono pronti a conquistare nuovi spazi.
Il nome “papavero” deriva dal celtico “papa” cioè “pappa”, derivato
dall’usanza di mischiare il suo lattice nella pappa dei bambini e procurare
loro lunghi sonni. “Rhoeas” dal greco “cadere” fa riferimento alla precoce
caduta dei petali dal fiore.
Si pensa giunga dal Medio Oriente. Il Papavero, è una pianta
particolarmente messicola, e da sempre ha mescolato i suoi semi a quelli dei
cereali, seguendo l’uomo nella sua evoluzione. Anche nelle tombe egizie per
decretare fin dai tempi antichi la combinazione grano-papaveri, ne sono stati
trovati i fiori. Mentre nell’antica Roma la dea Cerere (da cui il termine
cereale) era rappresentata con in mano un mazzo di papaveri, tanto naturale era
la compresenza nei campi.
Il Papavero è un fiore profondamente semplice,
eppure è stato da sempre oggetto di numerose simbologie. Gli antichi Greci lo
rappresentavano Hipnos (il Sonno) e Thanatos (la Morte), con il capo incoronato
da papaveri o con qualcuna delle sue corolle tra le mani. Pianta dedicata alla
Grande Dea patrona della Vita così come della Morte, la dea garantiva
attraverso il suo fiore la rinascita, il risveglio dal sonno. Gli antichi
Romani, oltre a consacrarlo al loro dio del sonno Morfeo, lo elessero simbolo
dei potenti. Famosa la leggenda in cui si racconta come il re di Roma Tarquinio
il Superbo decapitasse i papaveri più alti del proprio giardino per mostrare
come andassero eliminati i personaggi più autorevoli. In età precristiana, per
i suoi molti semi, era considerato simbolo di fertilità, nell’età cristiana fu
invece associato alla passione di Cristo per via del colore rosso sangue dei
petali e del motivo a forma di croce nel centro della sua corolla.
Nel mondo anglosassone il Papavero è
tradizionalmente dedicato alla memoria delle vittime sui campi di battaglia
delle due guerre mondiali. In Gran Bretagna, nel Remembrance Day, tutti portano
un papavero rosso all’occhiello. Ma l’usanza sembra risalire molto indietro nel
tempo: si narra che Gengis Khan, l’imperatore condottiero mongolo, portasse
sempre con se dei semi di papavero che spargeva sui campi di battaglia dopo le
sue vittorie in ricordo e in rispetto di coloro che vi erano morti con onore, e
anche per "segnare” con il colore dei fiori, che là si era svolta una
battaglia.
Per gli astrologi il papavero nasce sotto
l’influenza della luna ed è quindi una pianta notturna, è soggetto all’influsso
del cupo saturno, viene associato soprattutto all’oppio, potente stupefacente
che si ricava dal Papaver Somniferum e che induce ad uno stato di torpore
simile al sonno. Il Papaver Rhoeas conserva da millenni la magia dell’oblio,
pur senza gli eccessi del suo fratello orientale.
Nel linguaggio dei fiori il papavero indica
l’orgoglio sopito, il tradimento, la bellezza effimera e l’incoscienza.
Nel papavero troviamo diversi principi attivi:
alcaloidi quali la readina, reagiina, rearubina I e II:tannini, mucillagini,
coloranti, antociani. Queste sostanze sono contenute nel latte che la pianta
secerne se si taglia la capsula; la stessa cosa succede nel Papaver Somniferum
(i cui derivati sono utili e altrettanto dannosi all’umanità), solo che il
lattice del rosolaccio non ha la stessa pericolosità. Tuttavia il papavero va
utilizzato solo al momento della necessità e secondo le prescrizioni del
medico.
Del Papavero si usa tutta la pianta raccolta
prima della fioritura anche se i petali rossi sono quelli maggiormente usati.
Appena raccolti, di solito tra maggio e luglio, vengono subito fatti essiccare
all’ombra ed in ambienti caldi e ventilati. Una volta secchi i petali diventano
di un colore rosso ancora più intenso e si conservano al buioin recipienti
ermetici di vetro o porcellana. I petali vengono usati sotto forma di infuso o
decottocome blando sedativo per conciliare il sonno a bambini e anziani. Le sue
proprietà calmantie leggermente narcotiche sono dovute agli alcaloidi presenti
che fanno sì che venga usato contro la tosse insistente, in particolare la
pertosse, l’asma bronchiale e per frenare i dolori di pancia. Secondo alcuni,
per uso esterno, l’infuso dei petali farebbe bene nei casi di mal d’orecchio o
ascessi dentali. Sotto forma di estratto per abbassare la febbre da influenza
favorendo la sudorazione. Recenti studi hanno dimostrato l’azione calmante e
antiinfiammatoria degli estratti di fiori di papavero nelle eritrosi e nei
rossori della pelle.
I semi non hanno principi attivi, sono
commestibili e vengono usati nell’industria dolciaria ed in panetteria, (anch’essi
amati già 20.000 anni fa ed utilizzati per panificazioni dedicate alla Dea, insieme
al divino miele e al sacro grano). Da essi si estrare un olio molto pregiato
ottimo come calmante e decongestionante. Le capsule che contengono i semi non
vanno assolutamente adoperate perché velenose.
I petali sono ottimi coloranti. Grazie agli
antociani dal colore rosso vinoso presenti soprattutto nei petali, in passato
le donne li hanno sfruttati per truccarsi labbra e guance. Prima della scoperta
dei coloranti artificiali, i petali di papavero venivano usati nella
colorazione di sciroppi, confetture, gelatine, bevande. Come colorante per
tessuti invece si usa il fiore intero. Si prende per esempio una maglia che si
vuole tingere la si immerge in un decotto di fiori di Papavero lasciati in
infusione per alcune ore, poi si fa bollire per 45 minuti. Quindi si lascia
raffreddare il capo in ammollo. Come mordente si usa l’allume di potassio.
In cucina i giovani germogli di Papavero sono
eccezionali mangiati crudi e ben conditi.
Hanno un sapore caratteristico, più dolce di altre erbe spontanee. Si possono
fare anche minestre, risotti, o mangiarli insaporiti in padella o impanati con
uovo come delle frittelle. Nel Salento la “paparina” è utilizzata fin dai tempi
antichi:veniva inserita ancora bollente in una pagnotta precedentemente
svuotata e poi chiusa con la stessa mollica. Questo costituiva il pasto dei
contadini che lavoravano nelle campagne lontano casa.
Paparina: 1kg.giovani piante di papavero, due
o tre manciate di olive pugliesi, 3 o 4 spicchi di aglio, 5 cucchiai di olio
extravergine d’oliva, peperoncino, sale, pane casereccio.
Pulire e lavare la verdura, scottarla in
pentola con un solo filo d’acqua per 10 minuti. In un’altra pentola far
appassire l’aglio con l’olio e peperoncino, unire le olive, farle rosolare per
pochi secondi, quindi unire la verdura scottata. Cuocere a fuoco basso fino a
ridurre la verdure quasi come un purè. Farcire il pane casereccio.
Fra i giochi dei poveri nel passato si usava
fare i “timbri” a forma di asterisco premendo sulla fronte i raggiati stimmi
delle capsule fresche, oppure si usava fare delle simpatiche bamboline
allargando i boccioli, tirando fuori un po’ i petali sgualciti in modo da
ottenere un elegante vestito che veniva poi umanizzato inserendo sul breve
gambo, appositamente lasciato, una capsula preparata tagliando la base con
l’unghia.
Papaveri rossi, fiori
semplici color del fuoco
Carboni ardenti tra le
erbe selvatiche,
accendono i campi,
riscaldano il cuore.
Aperti al sole che li ha
creati
i loro petali svolazzano
sereni, leggeri.
Fragili ma forti, in
essi sta l’amore,
la vita, la riproduzione
della specie.
Conosciuti, amati.
Il vento soffiando
toglie i loro petali
uno ad uno…
Leggeri si posano al
suolo come dolci baci.
La terra, sempre Madre,
accoglierà i suoi semi
Per amore ridonerà la
sua linfa vitale
Ad un tenero nuovo
fiore,
ad un intenso colore,
Ricordiamo che:
Prima di intraprendere una cura a base di piante medicinali si deve sempre interpellare un medico specialista in materia e seguire le sue indicazioni
Tutte le piante officinali vanno usate con estrema competenza ed esperienza, con estrema cautela.
La raccolta delle erbe salutari è un’arte abbastanza difficile: è necessario saperle riconoscere e rispettare l’epoca in cui i principi attivi è più elevata. Èindispensabile scegliere bene i luoghi di raccolta, per evitare piante inquinate o avvelenate da scarichi o smog. È obbligatorio conoscere le regole di conservazione, essicazione, preparazione e assunzione.
Numerose piante possono risultare tossiche, se non addirittura velenose, se usate in maniera non appropriata, o sono controindicate a determinati soggetti o situazioni
L’autoterapia può essere pericolosa, consultare sempre un medico
Il nostro scopo è quello di fornire una base al passeggiatore curioso. Alla persona che vuole sapere quali sono le piante che incontra e sapere che molte hanno proprietà salutistiche. Per trovare la voglia di tornare alla natura e guardare con nuovi occhi quello che ci circonda cogliendone la magnificenza. Un passaggio che ci porta dentro la natura e dentro noi stessi.
Salvia Pratensis- Salvia Officinalis- Salvia Sclarea
Salvia Pratensis ( Salvia selvatica) Labiate
Il genere Salvia comprende alcune centinaia di specie erbacee e veri e
propri arbusti. Già nella Grecia antica, dov’ era considerata pianta sacra, se
ne distinguevano circa venti differenti qualità. Tra le più conosciute la
Salvia Campestre, la Salvia Officinalis e la Salvia Sclarea, originarie del
continente Americano, dell’Europa e dell’Africa settentrionale. La più facile
da trovare in natura è la Salvia pratensis, riconoscibile per i bei fiori
violacei.
La Salvia Pratensis e una pianta perenne di aspetto erbaceo, ha fittone
ingrossato e fusto eretto, pubescente, legnoso e ramificato in alto, arriva
fino a 70 cm ,
ha un odore intenso, non gradevole. Le foglie della rosetta basale sono
spicciolate, lanceolate, caratterizzate da una nervatura reticolare e dai
margini leggermente crenati. I fiori
sono azzurro-viletti, raramente rosa o bianchi. Hanno un corto labbro
inferiore, mentre il superiore è arcuato. Sono disposti a forma di spiga
chiusa. Gli stami della Salvia Pratensis, si comportano come piccole leve,
quando un insetto, in cerca di nettare, penetra nel fiore, aziona una specie di
pedale, che gli ribalta sul dorso il braccio dellostame, ilpolline si rovescia
allora sul dorso dell’insetto. Questo funzionamento si può facilmente
verificare infilando nel fiore un filo d’erba. Si dice che la Salvia sia una
delle piante preferite dalle api. Cresce nei luoghi erbosi e freschi, incolti,
campi, prati.
Cleopatra usava la Salvia Pratensis per preparare filtri afrodisiaci. I
latini la chiamavano Erba Sacra e le attribuivano capacità di curare il morso
dei serpenti, a condizione che non fosse stata infettata dall’alito venefico
dei rospi. Ritroviamo questa credenza nel “Decameron”. Nei secoli successivi le
si sono attribuite altre proprietà; quella di far restare incinta la donna che
ne avesse bevuto l’infuso per quattro giorni di fila, o quella di curare le
affezioni del cavo orale perché la forma delle sue foglie ricorderebbe una
lingua, oppure il potere di spezzare malefici o incantesimi. In realtà la
Salvia Pratensis ha numerosi effetti benefici sull’organismo, agendo come
efficace tonico per l’apparato digerente (migliora il passaggio del cibo e
lacapacità del corpo di sintetizzarlo). Potente sedativo, (L’infuso di Salvia
Pratensis è molto utile per le donne durante il periodo mestruale, in quanto
stimola l’utero calmando i nervi e regolando la circolazione).
Utile ipotensivo e un valido anticonvulsionante. Porta benefici alle
persone che soffrono di pressione alta arteriosa migliorando l’attività
circolatoria. Aiuta le persone che soffrono d’ansia e depressione, calma i
nervi e rilassa la mente stimolando però l’euforia, benefici anche per chi
soffre d’insonnia, per le persone in convalescenza o in riabilitazione. Un vero
toccasana per tutto l’organismo.
Tuttavia un utilizzo eccessivo o un sovradosaggio può risultare tossico
per l’organismo, causando allucinazioni e sbalzi percettivi che possono
alterare la visione delle cose e risultare pericolose per il soggetto.
In cucina, nonostante le foglie di Salvia Pratensis non abbiano un aroma
marcato come quelle della sorella Officinalis, possono ugualmente essere
utilizzate per insaporire sughi e minestre, specialmente se seccate. Fin
dall’antichità le foglie di Salvia Pratensis venivano utilizzate per rendere
più digeribili i cibi. Nel Medioevo veniva addirittura sostituita al luppolo
per fare la birra. In Giamaica la Salvia pratensis viene ancora bollita in una
noce di cocco per preparare un rimedio naturale contro le punture dello
scorpione.
Salvia Officinalis
Presente in ogni casa la Salvia Officinalis è la più conosciuta. Salvia,
dal latino “Salvus”che significa “salvo, sano” e dal verbo “Salvere” (salvare).
C’è chi invece sostiene che provenga dal Tedesco “Sal-Bei”, altri dal
greco”Sòzo(conservo, proteggo) e da “Bìos”(vita) cioè “ la pianta che conserva
o salva la vita”. Questo indica che fin dall’antichità quest’erba era stimata per le sue proprietà medicinali.
I Galli la consideravano una pianta in grado di guarire tutte le
malattie, tanto che i Druidi la usavano contro la
febbre,tosse,paralisi,epilessia ma anche per favorire il concepimento e il
parto;le era attribuito anche il potere di resuscitare i morti ed entrava come
ingrediente in numerosi incantesimi. I Romani la consideravano una piana sacra
e per questo veniva raccolta con un rituale particolare: senza l’uso di oggetti
di ferro,in tunicabianca, a piedi scalzi e ben puliti. In un antico erbario si
racconta che quando la Vergine Maria dovette fuggire col Bambino, chiese aiuto
a tutte le erbe e solo la Salvia le dette riparo sotto le sue foglie e la
difese contro gli uomini di Erode. Maria, grata, la fece diventare la pianta
preferita dagli uomini perché li avrebbe salvati da qualsiasi malattia e dalla
morte. Era molto apprezzata anche dai Cinesi, che la ritenevano capace didonare
la longevità;nel 1600 veniva scambiata con i mercanti Olandesi: un cesto di
Salvia per tre cesti di thè. Carlo Magno diffuse l’uso della Salvia Officinalis
in Francia. La medicina popolare già nel Medioevo la usava come cicatrizzante e
le attribuiva poteri magici e afrodisiaci.
In alcuni detti popolari si diche che dove la Salvia cresce bella e
forte è la moglie a dominare, mentre se la pianta muore gli affari vanno male.
La Salvia Officinalis è una
pianta semplice, rigogliosa e dalle tante virtù, che non ostenta mai ed è
sobria perché cresce anche in minuscoli fazzoletti di terra. La Salvia officinali è
originaria della penisola balcanica, ma si è acclimatata molto bene in Italia,
dove, al sud cresce talvolta spontanea inselvatichita. Nel centro e nel nord
cresce solo se coltivata in orti e giardini. Pur raggiungendo
raramente un metro di altezza è un vero piccolo arbusto sempreverde, con steli
legnosi che prima strisciano sul terreno e poi si innalzano eretti. Stelo e
rami, allo stato giovanile, sono ricoperti da uno strato che assomiglia al
velluto, poi diventano lisci. Le foglie, ovali, sono rugose e pelose, di un
verde grigiastro talmente particolare da essere conosciuto come verde-salvia.
In giugno-luglio, quando fiorisce, numerose corolle di un bel
violachiaroformano infiorescenze a spiga in cima agli steli. Tutta la pianta è
aromatica, con un intenso profumo gradevolissimo e balsamico.
La Salvia Officinalis stimo le funzioni dell’intestino e della
cistifellea. Ha un effetto balsamico ed espettorante sull’apparato respiratorio
ed è benefica negli accessi d’asma. Si pensa che la Salvia Officinalis stimoli
la memoria e sia utile per il cervello in genere (un tempo era usata anche per
alleviare le emicranie croniche). Altre interessanti proprietà sono quelle di
abbassare la glicemia, diminuire la sudorazione dovuta a debolezza generale,
agire positivamente su alcuni disturbi ovarici. Le sue virtù sono dovute all’acido
tannico, alla resina e all’olio essenziale, che ne valorizzano le proprietà toniche,
digestive, antisudorifere, cardiotoniche, decongestionanti ma soprattutto
efficacia antisettica. Tuttavia la sua proprietà più importante, riconosciuta
dalla farmacopea ufficiale, sta nel fatto chi i suoi componenti hanno il potere
di bilanciare, di equilibrare la funzionalità dei vari organi; stimolandoli se
sono ipofunzionanti oppure funzionando come sedativo se sono iper-funzionanti. Questa sua particolarità rende la Salvia Officinalis
una droga molto forte da usarsi con cautela. L’olio essenziale o preparazioni
molto concentrate di Salvia possono dare seri disturbi nervosi e gravi
intossicazioni. È sconsigliata alle donne in gravidanza perché favorisce le
contrazioni. L’uso domestico più valido è quello per il cavo orale e la gola
(gengive molli e sanguinanti, arrossamenti, ulcere, alito cattivo). Le foglie
fresche sfregate sui denti li puliscono e purificano l’alito. La Salvia Officinalis
è tra le piante aromatiche più usate in cucina. Oltre che per arrosti,
involtini ripieni e sughi, il suo gradevole aroma basta a trasformare un po’ di
olio in un gustoso condimento per pasta e riso.La Salvia Officinalis contiene
un chetone complesso che può risultare tossico ad alte dosi per cui viene usata
come aroma, ma non come insalata. Le foglie si raccolgono da aprile a luglio,
le sommità fiorite in maggio-agosto tagliando i fusti 10-20 cm al di sotto dei
fiori. Fiori e foglie si essiccano all’ombra e si conservano in sacchetti di
carta o tela.
Salvia sclarea
La Salvia Sclarea,
dalle belle spighe a pannocchia rosa-viola, un tempo era inclusa tra le specie
officinali consigliate nel “Capitolare de Villis”, risalente al 795, che
includeva le piante coltivate a scopo curativo, opera destinata ai monaci e
agli erboristi. Tuttavia sono molte e curiose le utilizzazioni non medicinali
della Salvia Sclarea: come aromatizzante per liquori e profumi, oppure per dare
sentore di moscato al vino, per rinforzare sapore e profumo al Vermut, ma anche
per dare una particolarità a confetti, gelati e aceto. Possiede un sapore
leggermente amaro e un po’ acre, l’aroma intenso ricorda quello della Salvia
Officinalis. Un impiego particolare è quello dell’essenza ottenuta per
distillazione, usata nel settore dei profumi, in sostituzione della
costosissima” ambra grigia”. La Salvia
Sclarea ci aiuta a contattare il mondo dei sogni in quanto sembra favorire
sogni vividi e rafforza la possibilità di sognare. Può essere usata in bagni
serali, in una lampada per aromi collocata in camera da letto, oppure mettendo
una goccia di essenza sul guanciale.
La Madre terra è fonte
di tutta la vita. Il suo spirito è ovunque, nella terra, nei profumi, in ogni
cosa che si rigenera. Le piante s’ innalzano per raggiungere il cielo. Il
calore del sole scende ad abbracciarle. I petali rispecchiano i colori
dell’arcobaleno, il loro profumo pervade l’aria. Costante equilibrio tra cielo
e terra. Le piante sono al centro, raccolgono il respiro della terra e del
cielo concentrandolo nelle loro proprietà. Ogni foglia nasconde la magia di
questo equilibrio.
Posted by Mara
Il macerato di Consolida
è ricco di minerali, silice e sostanze nutrienti ed è un buon fertilizzante
naturale. Si può combinare con l’ortica per dare un impulso alle piante ortive,
ai gerani e alle rose. In più sembra serva anche a scacciare gli afidi e
rafforzare le piante.
Si possono fare due tipi di macerato: uno pronto per l’uso e uno
concentrato. Per il primo serve: un contenitore grande con coperchio, acqua
piovana, foglie di Consolida maggiore. 1 kg di foglie fresche ogni 15 litri di
acqua. Il liquido che si ottiene è puzzolente e molto persistente. È meglio
tenere il contenitore coperto per via dell’odore. Il macerato sarà pronto dopo
2-6 settimane. Si può usare com’è oppure diluito come spray fogliare. Il
macerato concentrato puzza molto meno, è più pratico, si può usare subito o
conservarlo fino ad un anno (in un luogo fresco e al buio). Le foglie impiegano
un po’ più tempo a macerarsi. Si fanno macerare le foglie di Consolida maggiore
senza acqua in un contenitore e si fa cadere il liquido in un secondo
recipiente posto alla base del primo. Ad esempio si può usare una bottiglia di
plastica da 2 litri ed un contenitore di yogurt o gelato o altri vasi di
riciclo. Si taglia il fondo della bottiglia e si posiziona a testa in giù, con
la bocca inserita nel recipiente riciclato. Si copre la parte aperta dopo
averla riempita di foglie spezzettate di Consolida, con un sacchetto di
plastica fissato da un elastico.
Dopo meno di due settimane ne uscirà un liquido
marrone.
Si possono aggiungere altre foglie e lasciare fermentare ancora.
Il macerato di Consolida è ottimo per tutte le specie di piante avide di potassio,
per le solanacee (pomodori, peperoni, patate) ma anche per i cetrioli e tutte
le piante in vaso. Il concentrato va diluito; 20:1 se il concentrato risulta
denso e nero, 10:1 se il concentrato appare liquido e marroncino.
La Consolida maggiore può essere usata anche come pacciamatura, usando
foglie fresche (5 cm di spessore) intorno a pomodori, patate, ribes nero, uva
spina. Le foglie si decompongono lentamente, rilasciando preziosi nutrienti nel
suolo intorno alla pianta. Producono un residuo alcalino perciò non sono
indicate per le acidofile. Possono essere usate anche come attivatore del
compost, poiché le foglie di Consolida stimolano l’azione batterica e
accelerano il processo di decomposizione.
È davvero
una risorsa preziosissima nell’orto!
Prima di intraprendere una
cura a base di piante medicinali si deve sempre interpellare un medico
specialista in materia e seguire le sue indicazioni
Tutte le piante officinali
vanno usate con estrema competenza ed esperienza, con estrema cautela.
La raccolta delle erbe
salutari è un’arte abbastanza difficile: è necessario saperle riconoscere e
rispettare l’epoca in cui i principi attivi è più elevata. Èindispensabile
scegliere bene i luoghi di raccolta, per evitare piante inquinate o avvelenate
da scarichi o smog. È obbligatorio conoscere le regole di conservazione,
essicazione, preparazione e assunzione.
Numerose piante possono
risultare tossiche, se non addirittura velenose, se usate in maniera non
appropriata, o sono controindicate a determinati soggetti o situazioni
L’autoterapia può
essere pericolosa, consultare sempre un medico
Il nostro scopo è quello di
fornire una base al passeggiatore curioso. Alla persona che vuole sapere quali
sono le piante che incontra e sapere che molte hanno proprietà salutistiche.
Per trovare la voglia di tornare alla natura e guardare con nuovi occhi quello
che ci circonda cogliendone la magnificenza. Un passaggio che ci porta dentro
la natura e dentro noi stessi.
Ecco una torta salata vegana di grespino, un’ulteriore
modo per gustare questa particolare erba: per la pasta: g.250 farina kamut,
g.80 olio extravergine d’oliva, i cucchiaino di lievito, g.100 acqua tiepida da
aggiungere un po’ alla volta. Per il ripieno: Grespino, mezzo vasetto di panna
di farro, mezzo panetto di tofu affumicato, sale, pepe.
Tagliare a pezzi grossolani il Grespino, farlo
saltare pochi minuti in padella con sale, pepe e un goccio d’acqua. Dopo averlo
spento aggiungerci la panna e il tofu affumicato tagliato a pezzettini e
lasciar raffreddare. Mescolare tutti gli ingredienti per la pasta formare una
palla, stenderla con il mattarello e metterla in uno stampo per crostare
rivestito di carta da forno. Versare il ripieno di Grespino e decorare a
piacere. Infornare per venti minuti a 180°.
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